Web liturgia: Messa festiva anticipata e servizio dell’accolito, ministero del lettore, inchino al “Gloria Patri”.

L’appuntamento con don Antonio Sorrentino e le sue risposte riprenderà venerdì 7 gennaio.


Don Antonio Sorrentino  risponde oggi alle domande di: di Mariarosaria, Michele e Claudia. Venerdì 7 gennaio sarà  la volta di Sabatino, Paola e Rosanna. Per postare nuove domande al noto e stimato liturgista potete farlo scrivendole in fondo alla pagina, nello spazio dedicato ai commenti, nella pagina WEB LITURGIA, basta cliccare qui.


Mariarosaria L.chiede: Caro don Antonio, molti si pongono una domanda: se si partecipa alla Messa della Notte di Natale si santifica la solennità pur non partecipando alla Messa il giorno 25?  Allo stesso modo: chi partecipa alla Messa vespertina il 31 dicembre può evitare di partecipare alle Messe che si celebrano il 1 gennaio?  Se chi partecipa alla Messa della notte di Natale e a quella vespertina del 31 dicembre già santifica la festa, è opportuno che partecipi ugualmente alla celebrazione eucaristica del giorno seguente? Le chiedo infine un chiarimento su una sua risposta in cui ha scritto: Non è previsto che (l’accolito) possa infondere l’acqua e il vino nel calice (spetta al diacono).  In assenza del diacono e con la presenza di un accolito, è il sacerdote che prende l’ampollina per versare il vino nel calice?
Perché questo gesto così semplice e che è solo un atto per la preparazione dell’altare viene riservato al ministro ordinato?
E’ dunque un errore da evitare che l’accolito versi il vino nel calice?

Don Antonio Sorrentino risponde:

  1. “Il giorno liturgico ricorre da mezzanotte a mezzanotte. Però nelle solennità e nelle domeniche inizia già con i vespri del giorno precedente” (Decreto della Sacra Congregazione dei Riti Anni liturgici del 21.3.1969: EV/3, n. 893). Pertanto, la notte di Natale è già Natale: perciò, ai fini del precetto festivo, non c’è bisogno di partecipare a un’altra Messa il giorno di Natale e così anche “i fedeli che si sono comunicati nella Messa della Veglia pasquale o nella Messa della notte di Natale possono accostarsi di nuovo alla Santa Comunione nella seconda Messa di Pasqua o in una delle messe del giorno di Natale” (Inter Oecumenici, n. 6=, Ev/2, n. 270).  Parimenti, la Messa vespertina del 31 dicembre “vale” per il 1° gennaio. In realtà il formulario è già quello per il 1° gennaio. Se poi, per devozione, per maggiore amore, si vuol partecipare anche il 1° gennaio, tanto meglio. Ciò posto, sia consentita un’osservazione. Certo, “i pastori – scrive Giovanni Paolo II – hanno il dovere di offrire a tutti l’effettiva possibilità di soddisfare il precetto” (Dies Domini, n. 49). A questo scopo possono anche binare nei giorni festivi di precetto e celebrare – come già concesse Pio XII il 6.1.1953 –  la Messa vespertina, la quale se viene celebrata la sera del sabato o del giorno precedente la festa, è, a tutti gli effetti, liturgici e giuridici, Messa festiva. Tuttavia, c’è il rischio che tale Messa anticipata, concessa per venire incontro a situazioni di necessità, diventi una “Messa di comodo”: cioè alcuni fedeli vogliono quasi “togliersi il pensiero” del precetto festivo e avere la domenica completamente libera per i propri servizi domestici o per il proprio divertimento. Ma ciò – come temono i vescovi italiani e Giovanni Paolo II – produce “l’eccessivo frazionamento della comunità”, quando invece la Messa domenicale dovrebbe veder riunita in maniera corale la comunità parrocchiale in tutte le sue componenti, compresi i gruppi, i movimenti e le associazioni (cfr. CEI, Il giorno del Signore, n. 33; Giovanni Paolo II, Mane nobiscum Domine, n. 23).  Un secondo effetto negativo viene lamentato dal Benedetto XVI, che scrive: “Per quanto giustamente il sabato sera fin dai primi vespri appartenga già alla domenica e sia permesso adempiere in esso al precetto domenicale, è necessario rammentare che è la domenica in se stessa che merita di essere santificata, perché non finisca per risultare un giorno ‘vuoto di Dio’ ” (Sacramentum Caritatis, n. 73). Pertanto, sembra poter concludere: normalmente i partecipa alla Messa nel giorno di domenica e solo eccezionalmente alla celebrazione anticipata del sabato sera o alla vigilia di una solennità.
  2. Finita la liturgia della Parola, l’accolito prepara tutto per la liturgia eucaristica, disponendo sull’altare il corporale, il purificatoio, il calice, la palla, il messale, assiste il sacerdote per l’incensazione e incensa lui il popolo; se necessario, quale ministro straordinario della Comunione, aiuta il sacerdote nella distribuzione della Comunione. Finita la Comunione, porta i vasi sacri alla credenza, è lì li purifica, li asterge e li riordina (OGMR, nn. 190-192). Non è previsto che possa infondere nel calice l’acqua  e il vino: ciò spetta al diacono oppure lo fa direttamente il sacerdote presidente o un concelebrante. Perché un gesto così semplice è riservato a un ministro ordinato? Probabilmente per sottolineare che c’è una gradualità di importanza dei gesti, rispondenti al ministero ecclesiale che si ha. Pertanto, stando alle norme attuali, l’accolito non versi l’acqua nel vino.

Michele S. chiede: Caro Don Antonio, ho letto con attenzione il ruolo dell’accolito, e sono soddisfatto della risposta.
Ora vorrei chiedervi il ruolo del lettore quando si deve “comunicare”?
sotto le due specie? dopo il sacerdote? che servizio può svolgere all’altare?
se non è ministro straordinario della comunione può distribuire le Ostie consacrate in chiesa?
Grazie

Don Antonio Sorrentino risponde:

Il ministero del lettore è per il servizio della Parola. Pertanto, spetta al lettore proclamare la parola di Dio (eccetto il Vangelo), proporre – in assenza del diacono – le intenzioni della preghiera dei fedeli, recitare (se non c’è un canto) l’antifona all’ingresso alla Comunione. Fuori celebrazione, il lettore fa anche da catechista e si sforza di testimoniare il suo servizio ecclesiale con una chiara testimonianza di vita cristiana, come invita il vescovo nel rito di istituzione.

Il lettore non può distribuire la Comunione; si comunica dopo il sacerdote, il diacono e gli accoliti; se la si dà, può ricevere la Comunione anche con il vino consacrato. In mancanza di altri, può servire all’altare quale ministrante (cfr. OGMR, nn. 194-198).

Claudia F. chiede: quando nella Liturgia delle Ore si recita il Gloria al Padre al termine di ogni salmo, o di ogni cantico, o altro, bisogna fare l’inchino col capo o col corpo? Questo inchino va fatto sia se si sta in piedi e sia se si sta seduti? Se l’inchino va fatto, perché non è indicato da nessuna norma? Bisogna inchinarsi fin quando si nomina lo Spirito Santo o durante tutta la preghiera fino ad Amen?  In una recente risposta lei ha scritto: Il Gloria al Padre non ha un “Sia” iniziale, però esige la congiunzione “e” al Figlio “e” allo Spirito santo.

Perché bisogna usare la congiunzione “e”? Infine è importante dire la congiunzione “e” sempre al Gloria al Padre subito dopo Come era nel principio? Perché? O può essere omesso?

Don Antonio Sorrentino risponde: La piccola preghiera Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo viene chiamata “dossologia minore”, per distinguerla dalla “dossologia maggiore”, che è il Gloria in excelsis Deo. Oggi potremmo dire che la “dossologia massima” è quella che conclude la prece eucaristica della Messa “Per Cristo con Cristo e in Cristo…”, con la quale, ripresentando al Padre il sacrificio di Cristo, si rende alla Trinità ogni onore e gloria per sempre. L’Amen di ratifica da parte di tutta l’assemblea dovrebbe essere non scialbo, distratto e disordinato, ma solenne, pieno, gioioso, tale da far tremare (come attesta S. Girolamo ai suoi tempi) le colonne della Chiesa!

Il Gloria Patri è una preghiera antichissima e compare già nel II secolo. Infatti, negli Atti del martirio di S. Policarpo e nel Evangelium Thomae leggiamo: “Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo e ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen”. Tale preghiera si diffuse moltissimo nel periodo delle grandi controversie cristologiche del IV secolo, diventando la preghiera di riconoscimento dei cattolici rispetto agli ariani, i quali negavano la divinità di Cristo. Nel VI secolo vi si aggiunse la seconda parte “sicut erat in principio…”. Questo dossologia conclude ottimamente tutti i Salmi, tanto che si usa dire, anche in senso traslato: “tutti i salmi finiscono in Gloria”.

Da sempre, recitando questa preghiera, seduti o in piedi, si fa un inchino di capo fino alle parole “Spirito Santo”, come prescrive l’OGMR al n. 75, perché vengono nominate insieme le tre divine Persone.  Si stia attenti a non omettere la “e” più volte ripetuta sia nella prima sia nella seconda parte: essa, infatti, non ha il valore di semplice congiunzione, ma quello correlativo e intensivo del greco e del latino (“kai-kai, et-et”) che significa “sia-sia”, “anche”, “ugualmente”, a sottolineare l’uguaglianza di gloria che si deve sia al Padre, sia al Figlio sia allo Spirito Santo, in quanto partecipano dell’unica natura divina e sono un solo Dio in tre persone, uguali e distinte. La “e” ripetuta nella seconda parte (“ e ora e sempre”) dà quasi l’idea di un prolungamento della lode trinitaria dal tempo nell’eternità, quando, per grazia di Dio, loderemo senza fine la SS.ma Trinità.

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