Web liturgia: don Antonio Sorrentino risponde
|Di seguito le risposte che don Antonio Sorrentino ha effettuato alle domande di: Salvatore, Elvira, Alessandro, Giulia e Stafania, domani le altre risposte. Per postare nuove domande al noto e stimato liturgista potete farlo scrivendole in fondo alla pagina, nello spazio dedicato ai commenti, nella pagina WEB LITURGIA, basta cliccare qui.
Salvatore Festinese scrive: Carissimo don Antonio, tra poco celebreremo la solennità dell’Assunzione della B. V. Maria.L’affermazione che questa festa è la memoria della Pasqua della Madre di Dio, è corretta? Sarebbe significativo accendere il cero pasquale durante la celebrazione vespertina del 14 e anche del 15? Il cero dove potrebbe essere messo?Potrebbe anche essere incensato all’inizio, durante la preparazione dei doni e alla fine? Infine è vero che parlando della Madre di Dio è bene evitare il termine Madonna, perchè ha un riferimento generico alle donne ed invece è meglio usare espressioni del tipo la Vergine, l’Immacolata? E’ questo il motivo per cui nel Messale Romano in nessuna preghiera compare il termine Madonna? Ed è per lo stesso motivo che il Messale a pag. 440 ha il titolo della benedizione solenne “Nelle feste della Madonna” scritto in rosso, che dovrebbe essere un modo di scrivere per indicare che non va letto?
Don Sorrentino risponde:
- La solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, può essere giustamente detta “Pasqua della Madre di Dio”, perchè ne celebra la risurrezione e glorificazione totale, in anima e corpo, quale partecipazione anticipata al frutto della risurrezione del suo Figlio divino e segno anche del nostro destino futuro. Non è previsto e non sembra conveniente accendere il cero pasquale: è un segno di Cristo Crocifisso e risorto ed è bene riservarlo a Lui.
- Il termine “Madonna” (=mia Signora) è tipicamente italiano e indica insieme confidenza e rispetto. E’ un termine molto popolare, ma non è entrato nel linguaggio tipicamente liturgico.
Elvira, parte della domanda di Alessandro e Giulia chiedono: Rev. mo don Antonio, il Rito della comunione fuori della Messa e culto eucaristico al n. 237 a pag. 118 sulle Acclamazioni afferma: Se si ritiene opportuno, dopo la benedizione eucaristica (com’è anche scritto nel Benedizionale al n. 2526 a pag. 1148) o prima della reposizione si possono dire, secondo le consuetudini locali, le acclamazioni seguenti: Dio sia benedetto… Il n. 117 a pag. 85 recita invece: … Durante la riposizione il popolo conclude, secondo l’opportunità, con qualche acclamazione (Cfr n. 237). Le chiedo: Perché i due numeri del Rito della comunione fuori della Messa e culto eucaristico indicano due soluzioni diverse? Il n. 117 infatti afferma: Durante la riposizione, mentre il n. 237 recita: dopo la benedizione eucaristica o prima della riposizione. Di queste due indicazioni, quale bisogna seguire? Inoltre le acclamazioni vanno solo recitate o possono essere anche cantate? E devono essere recitate o cantate prima dal solista e poi ripetute da tutta l’assemblea, oppure recitate o cantate da tutti contemporaneamente? Nel primo caso, quello del solista, quest’ultimo può essere il celebrante stesso? Le acclamazioni vanno recitate o cantate in ginocchio, seduti o in piedi? Perché non è stata scritta una rubrica che indichi qual è il giusto atteggiamento? Mentre il ministro toglie l’Ostia dall’ostensorio (è bene dire togliere l’Ostia?) e la ripone nel tabernacolo, si può eseguire un canto? Potrebbe essere mariano, oppure il riferimento a Maria non è opportuno? Oppure è bene che la riposizione avvenga nel silenzio? Infine considerando che il tabernacolo sia dietro all’altare, il ministro al termine dell’adorazione genuflette 3 volte? Prima di togliere l’Ostia, prima di chiudere la portoncina del tabernacolo e infine davanti all’altare per ritirarsi come si fa dopo la celebrazione eucaristica? Caro don Antonio, grazie per l’aiuto che ci dà sempre per capire come comportarsi durante le celebrazioni.
• Giulia S. Carissimo don Antonio,vorrei avere qualche chiarimento sull’uso del velo omerale. Quali sono le sue origini?Il Rito della comunione fuori della Messa e culto eucaristico ai nn. 116-117 prescrive l’uso del velo omerale solo per la benedizione eucaristica ma non per la Reposizione. Credo che il velo omerale sia usato per una forma di rispetto per l’Eucaristia. Se è così, perché per benedire con l’ostensorio o con la pisside si usa, mentre per riporla no? Eppure per la Reposizione si ha sempre tra le mani il santissimo Sacramento, anche se si trova nella teca. Non sarebbe opportuno che anche il ministro che ripone il Santissimo indossi il velo omerale sia se il tabernacolo si trova in una cappella e sia se si trova dietro all’altare su cui è stato esposto?
Durante la Messa nella Cena del Signore per riporre il Santissimo si usa infatti il velo omerale come precisa il n. 15 del Messale Romano a pag. 143, cosi come lo si usa il Venerdì santo per riportare il Santissimo Sacramento dal luogo della reposizione all’altare, come indica il Cerimoniale dei Vescovi al n. 325. Inoltre perché l’uso del velo omerale nel Venerdì santo è indicato nel Cerimoniale dei Vescovi e non nel Messale Romano? Secondo lei, quando si usa l’ostensorio è buona norma genuflettersi per l’esposizione e la riposizione quando la porticina dell’ostensorio è aperta o chiusa? Inoltre mentre il sacerdote benedice con l’ostensorio, un ministro può incensare il santissimo Sacramento? Se è possibile, è consigliabile? Con i tiri del turibolo si traccia un segno della croce, come si fa per il Vangelo, oppure i tiri sono rivolti direttamente al Santissimo come si fa per il sacerdote?
Don Sorrentino risponde:
- Alla Benedizione eucaristica si rimane in ginocchio finché il SS.mo viene riposto nel tabernacolo. Il sacerdote (o il diacono) riceve il velo, non è detto se stando in ginocchio o in piedi. Forse stare in ginocchio consente al minsitrante di imporre o prredere il velo omerale con maggiore facilità.
- Il velo omerale lo si usa per non taoccare direttamente i vasi sacri contenente l’Eucarestia. Mentre viene impartita la Benedizione eucarsitica, non si canta, però non disdice un leggero sttofondo musicale. Dopo la Benedizione eucaristica (prima della reposizione o durante la reposizione) si recitano o cantano delle accalmazioni, tipo: “Dio sia benedetto”, con lo schema solo/tutti oppure tutti insieme continuatamente. Alla fine si può cantareun salmo oppure ( a anche) -chiusa la custodia- un canto mariano. La benedizione si può imaprtire stando davanti o dietro l’altare (non è precisato). Dipende da dove è stato in adorazione il ministro. Se è stato davanti, evidentemente si deve voltare; se è stato dietro è già “Coram populo”.
- Se il tabernacolo è nel presbiterio, dietro al nuovo altare, il ministro che deve riportare la pisside o la teca contenente l’Ostia grande, fa due genuflessioni: prima di chiudere la custodia e poi, insieme con gli altri, prima di lasciare il presbiterio per ritornare in sacrestia.
Stefania P. scrive: Carissimo don Antonio, l’Ordinamento generale del Messale Romano al n. 54 relativo alla Colletta recita: Poi il sacerdote invita il popolo a pregare e tutti insieme con lui stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e poter formulare nel cuore le proprie intenzioni di preghiera. L’Orazionale per la preghiera dei fedeli a pag. 11 prescrive prima dell’Orazione presidenziale conclusiva: Ciascuno quindi prega brevemente in silenzio. Le chiedo: la preghiera che si formula nel proprio cuore in questi due momenti dovrà ispirarsi a qualche criterio particolare, distinto nei due casi, oppure si formulano con una profonda spontaneità? Inoltre durante la celebrazione eucaristica nella Preghiera dei fedeli è possibile aggiungere intenzioni specifiche facenti riferimento a situazioni concrete e precise? Ad esempio pregare per una persona specificando il suo nome ed il suo problema che può essere una malattia, un intervento chirurgico, difficoltà familiari, ecc.? Se durante la S. Messa è presente un diacono, è opportuno che la preghiera dei fedeli sia letta da lettori laici? Invece quando il diacono è assente, le singole intenzioni possono essere affidate a più lettori, o è opportuno che sia un unico lettore a proporre tutte le intenzioni? Infine una domanda non sulle rubriche ma sul buon senso e sul buon gusto: colui che ha terminato di leggere le intenzioni è bene che aspetti all’ambone con l’orazionale aperto tra le mani per poi metterlo a posto solo dopo che il celebrante ha recitato l’Orazione presidenziale conclusiva? Complimenti per aver pensato ad una rubrica che offre risposte chiare e precise.
Don Sorrentino risponde:
- “Colletta”, dal verbo latino “colligere”, significa raccolta di preghiere, di offerte (in danaro o in natura). Si chiama così la prima orazione presidenziale della Messa. Suppone – ed è prescritto- che, dopo l’invito “preghiamo”, si faccia una breve pausa di silenzio, “per prendere coscienza di essere alla rpesenza di Dio e per poter formulare nel cuore le proprie intenzioni di preghiera”. Quindi il sacerdote “raccoglie” le preghiere personali dei fedeli, se ne fa interprete con una preghiera comune, che viene poi ratificata dall’assemblea con l’Amen conclusivo (cfr OGMR, nn54.127). Purtroppo la fretta e la superficialità stanno devastando molte celebrazioni uccidendo il silenzio. Ma il “silenzio è parte della celebrazione” (sc30; OGMR45), la quale si compone di gesti, parole e pause di silenzio. Esso va osservato “all’atto penitenziale, dopo l’invito alla preghiera, dopo le letture o l’omelia, dopo la Comunione” (OGMR 44). La struttura del silenzio, la sua durata, la sua stima, la sua pratica dipendono dall’interiorità, dalla spiritualità del prete e dei fedeli. Il silenzio è segno e anche fattore di raccoglimento. Purtroppo vi sono celebrazioni agitate distraenti, talvolta con troppi canti e movimenti che non sempre favoriscono il raccoglimento. Ad esempio, è bene che dopo che sono state formualte “da parte del diacono o del lettore o del cantore o del fedele laico” (OGMR 71) le varie intenzioni della preghiera dei fedeli, sia lasciato un breve spazio di silenzio, per consentire ai partecipantidi presentare in cuor proprio al Signore qualche intercessione personale. Nei tempi di silenzio ciascun membro dell’assemblea è chiamato al dialogo eprsonale con il Signore. La liturgia, infatti, non annulla la persona, ma la rispetta e la coivolge nel “noi” della chiesa orante.
- E’ norma antica e tuttora vigente che “nessuno si muova in chiesa mentre il presidente prega”, evidentemente perchè non si disturbi la preghiera! Pertanto, coloro che hanno proposto le intenzioni della preghiera dei fedeli stiano fermi presso l’ambone o a lato dell’ambone e tornino calmi al proprio posto dopo l’Amen conclusivo dell’assemblea.