Vangelo del giorno NATALE

Martedì  25 dicembre 2012

Liturgia della Parola

È apparsa la grazia di Dio
Beato il popolo che possiede questi beni:
beato il popolo che ha il Signore come Dio
(Sal 144,15)

Parola di Dio

È nato per voi un salvatore

La nascita non è altro che l’inizio di una presenza. Nella nascita c’è già tutto. Ma nello stesso tempo non c’è ancora nulla, almeno dal punto di vista del risultato pratico. L’angelo che annuncia una grande gioia promette ai pastori un “segno”: un bambino, circondato da cure affettuose. È poco, ma è anche tutto.

La visione complessiva

La lettera a Timoteo riassume in una unica affermazione il grande mistero della salvezza: “è apparsa la grazia di Dio”, che “porta salvezza a tutti gli uomini” (I lettura della Messa della notte). Ad essa fa eco la lettera a Tito, nella Messa dell’aurora: “apparvero la misericordia di Dio e il suo amore per gli uomini”. La stessa visione complessiva appare nel vangelo della Messa del giorno: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. E la seconda lettura della Messa del giorno riassume così: “ultimamente, in questi giorni, Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio”. Ma potremmo chiederci qual è l’aspetto specifico del Natale nel mistero della salvezza, su cui la liturgia invita a soffermarsi con particolare attenzione.

Il dettaglio specifico: in principio

Uno sguardo attento alle letture bibliche ci conduce a scoprire che l’angolatura specifica sotto cui siamo, nel Natale, invitati a osservare il mistero della salvezza sia quella del principio, dell’inizio: inteso certamente come fondamento essenziale, ma anche, molto semplicemente, come inizio temporale, caratterizzato da un’estrema limitazione nel tempo, nello spazio, nelle facoltà. Riprendendo la lettera agli Ebrei possiamo dire che nel Natale Dio ci parla. Ma il bimbo che è nato non è ancora un discorso, non è ancora dottrina, non è ancora neppure una frase di senso compiuto. Potremmo paragonarlo ad una semplice sillaba, la sillaba originaria: un sì. Nel Natale contempliamo il sì originario di Dio: sì all’uomo, sì al mondo, sì al perdono, sì al rinnovamento dell’alleanza. Anche l’apostolo Paolo, in un passaggio famoso, dice che «in lui c’è solo il sì» (2Cor 1,19-20):

Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunciato tra voi, io, Silvano e Timòteo, non fu “sì” e “no”, ma in lui vi fu il “sì”. Infatti tutte le promesse di Dio in lui sono “sì”. Per questo attraverso di lui sale a Dio il nostro “Amen” per la sua gloria.

Da quel sì originario tutto può partire, o ripartire: tutte le promesse divine riprendono slancio. Ma anche la nostra fede ha un inizio semplicissimo: l’“Amen” con cui si riconosce la giustizia e la gloria di Dio.

Al principio della nostra fede

Tutto comincia con una presenza. Un semplicissimo legame. Un segno minimo, ma potente. Il sì di Dio, fatto carne in Gesù, determina un’inversione della storia. Come un pulsante che fa esplodere una bomba. Come un semplice tasto, che accende la comunicazione. Le parole semplici, ma dense del prologo di Giovanni ci dicono che tutta la realtà, tutto ciò che vediamo, che sperimentiamo, che costruiamo, deriva da Dio, ha la sua origine in lui: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui», perché tutto nasce dalla volontà di Dio di comunicarsi, di trasmettere il suo amore. «In lui era la vita» aggiunge, perché il semplice fatto di vivere è bello, è importante e dà gioia, ma egli ci dona un sovrappiù di vita, una vita in pienezza: “a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Se solo anche noi accettassimo di dire il nostro «Sì»! È lo stesso che dire «Credo, Amen, mi affido a te, Signore».

Il rimando alla risurrezione

Come il Verbo di Dio, fatto carne, comincia con l’essere un bambino, e noi siamo chiamati a contemplare la potente semplicità di quell’inizio; così anche la nostra fede comincia con l’essere, per così dire, bambina, piccola, limitata, anche se ha in sé la potenzialità di crescere. Come dire, oggi il nostro sì al Signore? Come potremo permettere alla nostra fede di ripartire? Potrebbe essere un gesto estremamente circoscritto, eppure potente, non di una forza nostra, ma della potenza di Dio. Potrebbe bastare una preghiera davanti al presepe; un abbraccio ai familiari, una preghiera questa sera, la confessione dopo tanti anni… o forse anche un saluto a chi avevamo lasciato perdere, il perdono a una persona che ci ha fatto un torto, e a cui torniamo a fare gli auguri… il più semplice degli assensi di fede a Dio, ci porta molto lontano: oltre il Natale, fino alla Pasqua. Se cominciamo davvero ad amare come Gesù ama, prima o poi ci sarà chiesto il dono della vita… Come ha fatto Gesù, che da un’obbedienza al Padre ad un’altra, arriva a morire e risorgere per manifestarci il suo perdono, per invitarci a perdonare e a lasciarci perdonare. Dalla semplicità dell’inizio siamo rimandati alla profondità della fine. Dal balbettare iniziale siamo passati a un grande discorso: ma la parola chiave è ancora il sì, il sì dell’amore. Gesù accetta di compiere la volontà del Padre, fino alla morte, e alla morte di croce. Fino alla risurrezione. Il bambino mostra già, in tutta la sua drammaticità, il percorso che porta alla croce e alla glorificazione.

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