Vangelo della famiglia. "Anno di grazia del Signore"…
|III Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Vangelo: Ne 8.2-4.5-6.8-10; Sal 18; 1Cor 12,12-31; Lc 1,1-4; 4,14-21
Ancora oggi molti cristiani, usi a civettare con ogni potere (religioso, politico, economico, finanziario) vivono nella convinzione che liberazione e progresso siano due strade parallele (per alcuni addirittura incompatibili) destinate a non incontrarsi mai: chi parla di “liberazione” è, per loro, lo “scemo del villaggio”, quello che si nutre di illusioni e coltiva le utopie. Loro, invece, e solo loro, sono le persone serie, concrete, senza tanti grilli per il capo. Loro “sanno” che, a dispetto di quegli ingenuotti di ambientalisti, il progresso descrive una curva sempre in crescita, sarebbe addirittura illimitato se quelle anime belle non si dessero da fare per interromperlo, quanto meno per mettergli i bastoni tra le ruote. Tutto si tiene per questo modello di cristianesimo timido e disposto a repentini cambi di fronte, da una mano la vendita di armi ai paesi poveri, dall’altra l’elemosina dell’ultra superfluo. Un progresso vissuto come mito alienante, una liberazione intesa sospettosamente sulla base delle proprie categorie ideologiche e conservatrici. La liberazione portata dal Cristo e narrata dall’Evangelo viene così derubricata a categoria moralistica: liberazione dal peccato che è in noi (e nel tempo della “sacra” inquisizione anche dei peccatori), e non dal male – la fatica – del mondo, un male ed una fatica irredimibili con le nostre sole forze umane. Un cristianesimo dell’evasione, del compromesso, contro un cristianesimo dell’Incarnazione. “Invece di tener fermo questo punto centrale di una religione che ha il proprio fulcro nell’Incarnazione – scriveva Emmanuel Mounier – abbiamo lasciato a poco a poco che il nostro concetto di «spirituale» si contaminasse con quello eclettico ed aereo di un idealismo per il quale «spirituale» e «morale» significa spirito senza corpo, buona volontà senza volontà, cultura senza terra…”.
La cultura senza terra non è quella delle nostre famiglie, soprattutto di quelle che faticano ad arrivare a metà mese. Io credo che proprio a queste famiglie l’Evangelo di oggi sia dedicato, con uno sguardo di compassione da parte di Dio, e dunque compassione vera, non quella di chi batte loro una pacca sulle spalle e nel contempo si permette di giudicare, dall’alto della propria verità, le loro fatiche. Fatiche spesso, quasi sempre, causate da un sistema economico che, per timidezza sociale, spesso le nostre comunità cristiane non colgono, impegnate in altri ben più seri gargarismi moralistici, e dunque non hanno alcuna intenzione di contribuire a cambiare. Scriveva, ma sono ormai trascorsi quasi trent’anni, il mai sufficientemente compianto cardinale Arns: “Un sistema economico non può avere come sottoprodotto la creazione di una razza inferiore o la morte di milioni di persone. E il peggio è che chiunque richiami l’attenzione su questa situazione viene considerato sovversivo. Ma sovvertire significa solo girare la situazione e guardarla dall’altro lato. Rispettosamente sostengo che questa situazione deve essere guardata dall’altro lato. I poveri non sono una minaccia, sono un appello per cambiare un sistema ingiusto”.
Non esistono parole più puntuali per le nostre famiglie.
Traccia per la revisione di vita
1) Quando predichiamo l’Evangelo, quando “facciamo” catechesi, chi annunciamo? Noi stessi, la nostra cultura, i nostri pregiudizi, o il Cristo crocifisso che ha fatto la scelta dei poveri, dei deboli, dei peccatori?
2) La parola dell’evangelo è, per noi, parola di evasione o parola di liberazione?