Primo maggio, festa di tutti i lavoratori.
In questa giornata:
– la nostra preghiera va a tutti coloro che hanno perso la vita per incidenti sul lavoro.
– la nostra solidarietà a chi oggi non ha più un lavoro.
– Il nostro incoraggiamento ai tanti giovani in cerca di prima occupazione.
– Il nostro sostegno a chi lotta per non perdere il lavoro.
– Il nostro augurio va all’uomo lavoratore, sia esso uomo o donna, che ogni mattina a fatica si alza dal letto e inizia un "nuovo" giorno.
Vogliamo fare tutto questo e dedicare a ciascuno di noi i tre brani estrapolati da altrettante encicliche che parlano del lavoro, dell’uomo e del suo essere persona.
Dalla lettera enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (15 maggio 1891)
L’ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall’ordine politico passare nell’ordine simile dell’economia sociale. E difatti i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell’industria; le mutate relazioni tra padroni ed operai; l’essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo, e l’unione tra loro più intima; questo insieme di cose, con l’aggiunta dei peggiorati costumi, hanno fatto scoppiare il conflitto. Il quale è di tale e tanta gravità che tiene sospesi gli animi in trepida aspettazione e affatica l’ingegno dei dotti, i congressi dei sapienti, le assemblee popolari, le deliberazioni dei legislatori, i consigli dei principi, tanto che oggi non vi è questione che maggiormente interessi il mondo.
Dalla lettera enciclica
Populorum progressio di Paolo VI (26 marzo 1967)
Così pure, se è vero che talvolta può imporsi una mistica esagerata del lavoro, non è meno vero che questo è voluto e benedetto da Dio. Creato a sua immagine, «l’uomo deve cooperare col Creatore al compimento della creazione, e segnare a sua volta la terra dell’impronta spirituale che egli stesso ha ricevuto».(24) Dio, che ha dotato l’uomo d’intelligenza, d’immaginazione e di sensibilità, gli ha in tal modo fornito il mezzo onde portare in certo modo a compimento la sua opera: sia egli artista o artigiano, imprenditore, operaio o contadino, ogni lavoratore è un creatore. Chino su una materia che gli resiste, l’operaio le imprime il suo segno, sviluppando nel contempo la sua tenacia, la sua ingegnosità e il suo spirito inventivo. Diremo di più: vissuto in comune, condividendo speranze, sofferenze, ambizioni e gioie, il lavoro unisce le volontà, ravvicina gli spiriti e fonde i cuori: nel compierlo, gli uomini si scoprono fratelli.(25)
Dalla lettera enciclica
Laborem exercens di Giovanni Paolo II (14 settembre 1981)
(sul lavoro umano nel 90° anniversario della Rerum novarum)
L’UOMO, mediante il lavoro, deve procurarsi il pane quotidiano1 e contribuire al continuo progresso delle scienze e della tecnica, e soprattutto all’incessante elevazione culturale e morale della società, in cui vive in comunità con i propri fratelli. E con la parola «lavoro» viene indicata ogni opera compiuta dall’uomo, indipendentemente dalle sue caratteristiche e dalle circostanze, cioè ogni attività umana che si può e si deve riconoscere come lavoro in mezzo a tutta la ricchezza delle azioni, delle quali l’uomo è capace ed alle quali è predisposto dalla stessa sua natura, in forza della sua umanità. Fatto a immagine e somiglianza di Dio stesso2 nell’universo visibile, e in esso costituito perché dominasse la terra3, l’uomo è perciò sin dall’inizio chiamato al lavoro. Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l’uomo dal resto delle creature, la cui attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro; solo l’uomo ne è capace e solo l’uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua esistenza sulla terra. Così il lavoro porta su di sé un particolare segno dell’uomo e dell’umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura.