«Pillola del quinto giorno: un aborto mascherato»
|«Ancora una volta si spaccia un prodotto anche ad azione abortiva per un contraccettivo. E creando ad arte una grande confusione si elude un discorso di reale prevenzione dell’aborto». Di fronte alla possibile introduzione tra i farmaci disponibili in Italia della cosiddetta pillola dei cinque giorni dopo, Maria Luisa Di Pietro, endocrinologo e medico legale, docente di bioetica presso l’Università Cattolica di Roma e componente del Comitato nazionale per la bioetica, mostra tutta la sua perplessità: «Si rimane stupiti e sconfortati: anche l’idea che basti un test di gravidanza a garantirne l’effetto contraccettivo è un inganno. Infatti i test in commercio non sono efficaci prima di 8-9 giorni, quando cioè l’embrione è già impiantato. Ma questa pillola agisce prima, impedendo l’impianto dell’embrione in utero».
La proposta di inserire anche la pillola dei cinque giorni dopo (ulipristal acetato, nome commerciale ellaOne) nel circuito dei prodotti in vendita in Italia è molto preoccupante. Ancora una volta viene proposto un prodotto che, oltre all’azione contraccettiva, ha anche un’azione abortiva. Riducendo l’aborto all’assunzione di una pillola e mascherandolo da contraccezione, si allargano le possibilità di ottenere l’interruzione di gravidanza con modalità fai-da-te. Tra l’altro questo prodotto è uno strumento – come ha osservato anche l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) – potrebbe essere pericoloso per la salute delle donne in caso di uso ripetuto.
Come agisce la pillola? È vero che è solo contraccettiva, cioè che impedisce la fecondazione, altrimenti non è efficace?
Il principio attivo della pillola è l’ulipristal acetato, un antiprogestinico. Gli studi clinici, anche a confronto con il mifepristone (la Ru486), hanno messo in evidenza che se l’ovulazione non è ancora avvenuta, l’ulipristal può bloccarla (meccanismo contraccettivo). Ma se l’ovulazione è già avvenuta, il meccanismo d’azione consiste nel rendere difficoltoso l’annidamento dell’embrione in utero (meccanismo abortivo).
Perché allora viene definito solo contraccettivo?
Perché si sta creando volutamente una duplice confusione. Da un lato, per definire l’ulipristal solo contraccettivo viene negato l’effetto antinidatorio; dall’altro lato, si sono modificati i connotati della gravidanza. L’Organizzazione mondiale della sanità definisce la gravidanza non più il periodo tra la fecondazione e il parto, ma tra l’annidamento in utero dell’embrione e il parto. In questo modo impedire l’annidamento non sarebbe un aborto perché non si interromperebbe una gravidanza. Questo gioco di parole non può nascondere che esiste già un embrione che si sta sviluppando. Il fatto che non si sia ancora annidato in utero non significa che non esista; e, anzi, gli verrebbe impedito di svilupparsi.
Ma la limitazione dell’uso della pillola dei 5 giorni dopo all’effettuazione di un test di gravidanza non serve a escludere questo rischio?
No. In realtà chi appoggia l’introduzione dell’ulipristal non si preoccupa dell’eventuale effetto antinidatorio (che anzi nega), ma solo di evitare che una donna che sia già gravida, nel solo senso del già avvenuto impianto dell’embrione in utero e che non sappia di esserlo, eviti di assumere un prodotto che potrebbe causare danni al nascituro. Infatti il test “precoce” di gravidanza si basa sulla rilevazione della presenza dell’ormone della gravidanza (beta-HCG): peccato che tale test dia esito positivo solo 8-9 giorni dopo la fecondazione, quando l’embrione si è già annidato in utero. Quindi se c’è stata la fecondazione, ma l’embrione non si è ancora annidato, il test darà comunque esito negativo, anche se l’embrione esiste e sta viaggiando verso l’utero. L’assunzione dell’ulipristal non sarebbe allora contraccettiva, ma abortiva. Quindi i test attualmente in uso non servono a escludere un’azione abortiva della pillola, perché non segnalano la presenza dell’embrione se non è ancora annidato in utero. Esistono test che potrebbero segnalare la presenza dell’embrione subito dopo la fecondazione. Sono i cosiddetti fattori precoci di gravidanza (Epf, Early pregnancy factor), ma non vi è ancora una sperimentazione adeguata e, quindi, non è a questi test che è stato fatto riferimento.
Ha fondamento scientifico definire la gravidanza non dalla fecondazione, ma dall’annidamento?
Evidentemente no. Si tratta di una sorta di ingegneria semantica. Si considera gravidanza lo stato soggettivo della donna e che la presenza dell’embrione nel corpo della madre cominci solo con l’annidamento.
In tal modo si relega il nuovo essere umano, che si sta sviluppando dopo la fecondazione, in un limbo indefinito: fino a cancellarne l’esistenza.