Come prepararsi all'omelia: "il decollo"…
|Terzo appuntamento con "IL MANUALE DEL PREDICATORE" (Tutto quello che un prete dovrebbe sapere per non annoiare i suoi fedeli) scritto da don Mario Masina, oggi vi proponiamo il capitolo: "L’omelia vista da dentro, il decollo".
Hai preso ancora l’aereo? Sicuramente ti sarai reso conto che i momenti critici sono sostanzialmentedue: il decollo e l’atterraggio. Sono fasi delicate in cui a bordo ci si prepara con cura. Non sono daaffrontare con disinvoltura e faciloneria.In mezzo a queste due fasi si fa avanti l’altro problema: riuscire a restare svegli lungo il viaggio. Ecco, l’omelia è come fare un viaggio in aereo. Vogliamo ora passare a studiare il decollo, l’atterraggio, e alcuni stratagemmi per tenere desti i clienti.
I. IL DECOLLO
Si parte. Il primo minuto è decisivo, fondamentale, strategico. Se cominci un’omelia con una frasescontata e generica, in una manciata di secondi hai già perso per strada metà dell’uditorio. «Siamo alla quinta domenica di Pasqua e in questo tempo pasquale la liturgia della parola che abbiamo appena ascoltato…». Scontatissimo, fallimentare. Un inizio suicida. A parte il fatto che alla gente non interessa un gran ché sapere se si è arrivati alla quarta o alla quinta domenica, risulta essere un’apertura per nulla incisiva. Devi studiare un avvio diverso che, senza tanti preamboli – visto il pochissimo tempo che hai a disposizione – catalizzi immediatamente l’attenzione dei distratti e distraibili, introduca subito all’argomento, susciti quel pizzico di sorpresa mista a curiosità, attivi l’attesa per quello che viene dopo. I grandi compositori l’avevano capito da un pezzo: l’ouverture dell’opera geniale in quattro battute ti inchioda. Basterebbe prendere la quinta sinfonia di Beethoven. Così è per l’omelia. È chiaro che l’apertura va costruita quando si ha ben chiaro dove si vuol parare. Non si tratta cioè di dire qualcosa per il solo gusto di stupire.
Proviamo a vedere alcuni modi possibili: Iniziare con una domanda. Se il cuore della predica è il perdono cristiano, per esempio, potresti iniziare con: «Come mai ci è così difficile perdonare? E poi certe cose si possono perdonare?». Oppure se il tema è la preghiera: «Perché quando ci mettiamo a pregare ci passa per la testa unpo’ di tutto?». Evidente che la domanda di attacco richiede uno sviluppo che ne riprenda e articoli poi le implicazioni contenute andando a incrociarle con la Parola che intendi annunciare.
Iniziare con un racconto.
Può risultare di notevole efficacia catalizzante aprire l’omelia mettendosi a raccontare. Oggi si va sempre più riscoprendo la dimensione narrativa. Niente di nuovo, intendiamoci: dopotutto era la medesima strategia utilizzata da Gesù nelle parabole. Proprio per questo, non pensare che i racconti servano solo ai bambini. Talvolta restano in mente soprattutto ai grandi, che li apprezzano e capiscono anche meglio nelle molteplici sfumature. Se sei abbastanza abile, puoi arrischiarti a raccontare a braccio. Diversamente, ti conviene fare una fotocopia del racconto (ingrandita, perché – ricorda – devi guardare in faccia la gente il più possibile e il foglio che hai in mano il meno possibile ) e leggerla. Il racconto scritto ha il vantaggio dei essere
curato e preciso, anche se perde di immediatezza. Ci sono in circolazione interessanti raccolte. Penso a quelle di Ferrero (LDC), oppure a quelle di
De Mello (Paoline). Per queste ultime fai attenzione: alcune sono un po’ difficili, altre vanno prese con le pinze, come ci ha messo in guardia la Congregazione per la dottrina della fede. Se decidi di partire con un racconto non dire: «Adesso vi propongo una storia che parla di …». Cominciala subito! «Un giorno un uomo…». Non servono i preamboli. È scontato che il racconto va scelto e valutato in base all’obiettivo che vuoi raggiungere nel seguito della riflessione: è a servizio della Parola. Non è fine a se stesso. Sarebbe catastrofico strumentalizzare la Parola per lo sfizio di offrire un raccontino.
curato e preciso, anche se perde di immediatezza. Ci sono in circolazione interessanti raccolte. Penso a quelle di Ferrero (LDC), oppure a quelle di
De Mello (Paoline). Per queste ultime fai attenzione: alcune sono un po’ difficili, altre vanno prese con le pinze, come ci ha messo in guardia la Congregazione per la dottrina della fede. Se decidi di partire con un racconto non dire: «Adesso vi propongo una storia che parla di …». Cominciala subito! «Un giorno un uomo…». Non servono i preamboli. È scontato che il racconto va scelto e valutato in base all’obiettivo che vuoi raggiungere nel seguito della riflessione: è a servizio della Parola. Non è fine a se stesso. Sarebbe catastrofico strumentalizzare la Parola per lo sfizio di offrire un raccontino.
Iniziare con un episodio che ti è accaduto.
Anche questo è un tipo di racconto. «Qualche tempofa, è venuta da me una mamma…» o, che so, «visitando una famiglia, mi è capitato…», «una anziana signora, un giorno mi ha confidato …». Tutto ciò ha il vantaggio della storia vera e del tuo coinvolgimento personale. L’attività pastorale di un prete, specie se in parrocchia, presenta un’infinità di tali storie, positive e meno. L’importante è usarle con delicatezza e soprattutto evitare che possa essere individuata la persona o la circostanza in oggetto. Da evitare inoltre un uso indiscriminato di tali riferimenti. I tuoi fedeli si domanderebbero: «Ma gli capitano tutte a lui?». E comincerebbero a pensare che, forse, certe cose te le inventi.
Iniziare con un fatto di cronaca
Non usare però quelli sovraesposti nei mass-media. Spesso sono usurati, commentati e analizzati su ogni canale e telegiornale, fino a stancare la gente. Se sentono che anche tu parli di quel fatto, va a finire che dicono: «Eh no, anche in chiesa sentiamo parlare di questo. E basta!». E ti sei già tagliato le gambe. Piuttosto scegli fatti di sesta o settima pagina, conosciuti sì, ma non più di tanto. Fatti significativi in positivo o negativo, esposti sinteticamente. Il quotidiano Avvenire svolge a questo proposito un ottimo servizio, segnalando cose che sfuggono agli altri giornali e offrendo spesso commenti
acuti e incisivi.
acuti e incisivi.
Iniziare con una lettera.
Sia i noti settimanali cattolici (Famiglia Cristiana…), sia i meno conosciuti giornali diocesani pubblicano spesso lettere al direttore che sono estremamente interessanti. Toccano argomenti attuali, vivi, sentiti in un’ottica di fede. Alcuni sembrano fatti apposta per aprirti la strada al commento del vangelo della domenica. A condizione che siano brevi. Tagliarli, fotocopiarli, scaricarli da internet e metterli da parte. Possono tornare molto utili.
Iniziare con un oggetto-simbolo.
Mostrarlo, evocarne l’uso, illustrarne i diversi significati per poi giungere alla Parola di Dio in vista della quale ci siamo serviti di esso. Questa è una scelta
delicata, da usare raramente e con intelligenza. Presenta però una sicura incidenza perché permette di partire da qualcosa di concreto, attivando non solo la dimensione uditiva ma anche quella visiva. Il rischio, sempre in agguato, è quello di farne uno show.
delicata, da usare raramente e con intelligenza. Presenta però una sicura incidenza perché permette di partire da qualcosa di concreto, attivando non solo la dimensione uditiva ma anche quella visiva. Il rischio, sempre in agguato, è quello di farne uno show.
Iniziare con una citazione.
La letteratura teologia e filosofica – ma anche poetica – offre infinite possibilità di frasi brevi e fulminanti, aforismi illuminanti e pungenti. Chi non ricorda il «Riconosci, cristiano, la tua dignità!» di un Leone Magno per la festa di Natale o il «tardi ti ho amato» di un sant’Agostino? Come dimenticare alcune frasi di Dostoevskij o Manzoni? «L’amore vero non è guardarsi a vicenda. È guardare insieme nella stessa direzione» (A.deSaint-Exupery). Si tratta di cercarle e usarle con criterio, ricordando bene che non devono occupare il centro dell’omelia. Il centro lo occupa la Parola di Dio che non sopporta dividere la scena né con i filosofi, né con i santi.
Se invece decidi di fare una specie di lectio annuncia subito la chiave di interpretazione: «Vi sono tre parole del vangelo sulle quali intendo riflettere con voi oggi…». Oppure lancia come titolo la frase su cui ti fermerai: «La fanciulla non è morta ma dorme. Sembra facile, detta così,…». O «se Cristo non è risorto vana è la nostra fede, afferma Paolo. E se si fosse reincarnato cosa cambierebbe, pensano oggi molte persone…?». Una sera di qualche anno fa, fui invitato a parlare in una piccola parrocchia. Prima di entrare nella sala dove attendeva la gente, mi cadde l’occhio su un cartello, affisso alla parete della stanza precedente. «C’è gente che parla per cinque minuti, prima di cominciare a dire qualcosa», recitava. Non so se fosse stato preparato per me. Comunque non l’ho più dimenticato.
Conclusione. Prepara con cura il primo minuto della tua predica, perché chi ben comincia è a metà dell’opera. Vietato improvvisare. Comunque non scegliere a vanvera il tipo di attacco. Deve essere oculatamente correlato e funzionale all’annuncio centrale.
Passiamo all’esercizio per casa. Per le prossime domeniche prova a studiare modalità diverse per iniziare la tua omelia: una domenica con le domande, una con un racconto, una con un episodio, una con un fatto, una con un simbolo, una con una citazione, una con una frase chiave da sviluppare. Ma ricorda: non qualsiasi vangelo o lettura sopporta indifferentemente l’una o l’altra. A ogni lettura la sua apertura!
Domani 10 giugno 2009 appuntamento con: "l’atterraggio"!