Liturgia web: don Antonio Sorrentino risponde…

Di seguito le risposte che don Antonio Sorrentino ha effettuato alle domande di: Antonio N., Mariarosaria L, Claudia F., P. Napolitano, Andrea F., R. Clara.
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Genuflessioni e inchini
Antonio N. scrive:
Rev. Mo don Antonio,
la ringrazio profondamente per la risposta che mi ha dato. Alla luce di ciò che ha scritto in merito ad un quesito sulla genuflessione che non è necessario fare quando durante la celebrazione eucaristica si prende o si ripone la pisside nel tabernacolo che è dietro l’altare, le chiedo se non è opportuno almeno fare solo un inchino. Questa domanda nasce da una riflessione fatta leggendo una sua risposta in cui ha scritto che se nel presbiterio c’è il tabernacolo e il lettore vi passa davanti, si fa solo l’inchino profondo (cioè con il corpo).  Inoltre in un’altra risposta lei ha scritto: Nel riporre la pisside a fine Comunione, se il ministro ha ricevuto l’Eucarestia, ha già presente Gesù in sé e pertanto non genuflette, ma semplicemente depone la pisside e chiude il tabernacolo. Ma nel Rito della comunione fuori della Messa e culto eucaristico al n. 39 è scritto: … il ministro … se avanzano particole, ripone il Sacramento nel tabernacolo e genuflette, anche se potrebbe avere in sé Gesù come viene specificato nel n. 36.  Infine durante la celebrazione della parola di Dio il ministro quando prende la pisside dal tabernacolo deve genuflettersi? Dal n. 33 del suddetto rito non viene specificato. Rev. Mo don Antonio, le rivolgo queste domande perché sono convinto che attraverso i gesti e gli atteggiamenti possiamo comunicare un messaggio e una verità della nostra fede.  Grazie infinite.
Don Antonio risponde;
E’ vero, i gesti liturgici non sono formalità, ma espressione di fede e di amore e pertanto vanno curati con attenzione. Tuttavia, il Signore ci vuole sereni alla sua presenza, senza una sorte di “ossessione rubricistica”, che potrebbe essere snervante e distraente. Il Concilio ha inteso eliminare ripetizioni inutili (quanti segni di croce e baci all’altare nel messale di S. Pio V). anche nel rito della Benedizione Eucaristica a conclusione dell’adorazione, non si genuflette più immediatamente prima e dopo aver preso tra le mani la pisside o l’ostensorio. Il Cerimoniale dei vescovi al n. 394 prevede ancora queste due genuflessioni. Si è trattato di una svista o si è voluto ritornare alla rubrica pre-conciliare? Sinceramente non saprei dire. Tuttavia, la norma del Rito del culto Eucaristico fuori la Messa sembra più in linea con il criterio della semplificazione richiesta dal Concilio al n. 34 della Costituzione liturgica: “I riti splendano per decoro e nobile semplicità, siano trasparenti per la loro brevità e senza inutili ripetizioni. Pertanto dovendo passare ripetutamente davanti al tabernacolo o all’altare –per motivo di pulizia o di preparazione dell’altare o del presbiterio, si operi con serenità e rispetto del luogo sacro, senza sentirsi obbligati a ripetere genuflessioni e inchini.  Quando alla genuflessione al SS. mo prima di chiudere la custodia da parte di un ministro che si è comunicato, il nuovo Ordinamento generale del Messale Romano non ne parla (n.163). Se il ministro lo fa, non è deplorevole, ma sembra un di più un non necessario; non è prescritto, perché l’attenzione dell’assemblea è rivolta all’altare della celebrazione più che sul tabernacolo. Invece, sembra normale che si faccia genuflessione quando, fuori Messa si apre il tabernacolo, per prendere la pisside,  fare l’adorazione e la Comunione.

Presentazione dei doni, (una tenda, il rotolo della legge) e partecipazione dei fanciulli
Mariarosaria L. scrive:
Caro don Antonio, ringraziandola della risposta che mi ha dato, desidero rivolgerle altri quesiti: il primo riguarda una semplice precisazione. Lei ha scritto che è bene fare una bella genuflessione […] (data risposta nella domanda precedente ndr). Inoltre nei tempi forti, come in quaresima, durante la celebrazione eucaristica a cui partecipano i fanciulli del catechismo e dell’Azione cattolica, precisamente alla presentazione dei doni si possono portare dei segni come la tenda ( Trasfigurazione ), un rotolo di pergamena ( la Legge ), una candela che vengono spiegati agli incontri di catechesi che si svolgono durante la settimana? Ho notato che durante la Messa domenicale con questi segni i bambini si sentono particolarmente coinvolti.  Infine i bambini che frequentano il catechismo vengono naturalmente suddivisi in gruppi che sono seguiti dai catechisti. E’ corretto definire i gruppi col termine di classe? Mi sembra poco opportuno perché dà l’idea della scuola mentre il catechismo non è una lezione scolastica.  Cordiali saluti.
Don Antonio risponde:
L’intenzione dei catechisti di attivare una partecipazione più attiva alla celebrazione è buona, ma bisogna scegliere i momenti e le modalità più convenienti. La catechesi prevede anche momenti celebrativi particolari –fuori messa-, in cui si è più liberi di compiere gesti esplicativi e rafforzativi di alcuni contenuti delle catechesi. Quanto alla Messa, il rito parla chiaro: “E’ bene che la partecipazione dei fedeli si manifesti con l’offerta del pane e del vino per la celebrazione dell’Eucarestia, sia con altri doni per le necessità della chiesa e dei poveri” (OGMR, n.140). il di più guasta, distrae e rischia di trasformare la processione offertoriale in una sorta di sfilata folkloristica o di ridurre la liturgia a “manifestazione religiosa”. La differenza tra celebrazione liturgica e scenografia è teologicamente abissale, ma il confine, dal punto di vista comunicativo è sottile e va gelosamente salvaguardato: oltrepassarlo snatura la celebrazione.  La liturgia, pur avendo una valenza catechetica, in quanto celebra la fede, la esprime e la nutre, tuttavia non può accentuare l’aspetto catechetico. La liturgia fondamentalmente è culto, adorazione, celebrazione del mistero pasquale, non primariamente incontro catechistico, che invece ha altri tempi, luoghi e modalità espressive.  Volendo attivare la partecipazione dei fanciulli, li si può impegnare e preparare qualche intenzione alla preghiera dei fedeli, impegnarli nel canto, a essere ministranti, a preparare qualche pannello che fin dall’inizio, collocato in luogo opportuno (non appeso all’altare o all’ambone) evidenzi il tema centrale della celebrazione, ad esempio le due tavole della legge, il volto trasfigurato di Gesù, il padre misericordioso, Gesù e le peccatrici ecc.. E’ necessario e lodevole che i fanciulli del catechismo partecipino anche alla Messa. Se le catechesi non porta all’incontro sacramentale con Cristo, è fallita, perché il cristianesimo è una religione costitutivamente sacramentale e l’Eucarestia è il centro della vita cristiana. Chi non apprezza e frequenta l’Eucarestia, non può adeguatamente celebrare gli altri sacramenti e vivere gli impegni. I Vescovi italiani, nel documento “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia” (n.7) lo chiedono espressamente: “ La partecipazione alla Messa domenicale è momento essenziale della preparazione ai sacramenti”. D’altra parte, il settenario sacramentale è un comp0lesso unitario, che non può essere privato del suo centro e vertice, che è appunto l’Eucaristia, l’ideale sarebbe che stiano con i loro genitori. A volte, però, essi preferiscono “fare gruppo” con i loro compagni di catechismo. Parlare di “classe” in chiesa (o al catechismo) sembra non idoneo, perché il catechismo è un incontro formativo, che ha anche una componente istruttiva, ma non è semplicemente una lezione scolastica.

Benedizioni foto-ricordo per un defunto e salmo responsoriale
Claudia F. scrive:
Gentile Don Antonio, grazie per la sua grande disponibilità.
Desidero rivolgerle due quesiti: Quando si celebra l’Eucaristia in suffragio di un caro a un mese dalla morte ( trigesimo ) si preparano le foto del defunto chiedendo di benedirle. E’ possibile benedire le foto di un defunto? Durante la celebrazione eucaristica sia domenicale che feriale è possibile far recitare, e non cantare, da un lettore il salmo responsoriale per intero cioè senza leggere il ritornello, né all’inizio, né dopo le strofe e né alla fine? Grazie infinite
Don Antonio risponde:
Nel Benedizionale (libro delle benedizioni) non si trova una benedizione per le foto ricordo che si usa preparare e distribuire in occasione della Messa di trigesimo per un defunto. Tantomeno esse vanno poggiate sull’altare, dove non si possono neanche esporre le reliquie dei Santi o la statuetta di Gesù Bambino. Se i parenti presentano la foto-ricordo al Sacerdote, questi può recitare un Requiem e anche tracciare un segno di croce in suffragio del defunto, ma non è che detta foto venga benedetta, quasi diventando un oggetto sacro. Oltretutto, neanche i nostri libri di preghiera vengono benedetti.
Il salmo responsoriale
I salmi sono i canti religiosi degli Ebrei, accolti e fatti propri dai cristiani, perché sono brani ispirati e molti di essi sono messianici. Se non vengono cantati, perdono molto del loro carattere lirico. Il Salmo “responsoriale” per sua natura esige la “risposta” dell’assemblea. Questa risposta-ritornello, soprattutto la domenica, normalmente venga cantata, come esplicitamente dispone il n.129 dell’OGMR: “Il salmista -o lo stesso lettore- proclama i versetti del salmo, mentre il popolo risponde abitualmente con il ritornello” ( Cfr. anche il n.89 dell’introduzione al lezionario domenicale e festivo). Anzi, pur di favorire la risposta cantata da parte dell’assemblea, si può scegliere un ritornello fisso per ciascun tempo liturgico in luogo di quelli previsti per ciascuna domenica o festa. Si noti l’avverbio “abitualmente”: cioè, è previsto che, in circostanze particolari, il salmo possa essere cantato “in directum” (cioè senza alternanza solista/assemblea) da un solista, o dal coro, o dall’assemblea. Ma sia quel salmo, non un canto simile o un inno, perché la parola di Dio non può essere sostituita da testi umani anche se belli.

Segni di croce senza parole.
p. Napolitano scrive:
Caro don Antonio,ho letto con attenzione il testo che lei ha scritto: Incontri eucaristici, Edizioni Dottrinari.  A pag. 16 ho trovato scritto: 11 Non si genuflette immediatamente prima e dopo la benedizione, nel prendere e nel deporre la pisside o l’ostensorio. Ma questa norma rituale non è in contrasto con la norma indicata dal Cerimoniale dei vescovi al n. 394 sulla processione eucaristica: Terminata l’orazione, il vescovo riceve il velo omerale, sale all’altare, genuflette e, aiutato dal diacono, prende l’ostensorio, tenendolo alzato con entrambe le mani coperte dal velo, si volta verso il popolo e traccia con l’ostensorio un segno di croce senza dire nulla. Dopo di che, il diacono riceve l’ostensorio dalle mani del vescovo e lo colloca sopra l’altare. Il vescovo e il diacono genuflettono. Quindi mentre il vescovo resta in ginocchio davanti all’altare, il diacono porta con riverenza il sacramento alla cappella della riposizione. Un secondo quesito: Il Venerdì santo c’è la consuetudine di coprire le croci con un velo. In genere il colore di questo velo è viola. Non sarebbe opportuno evitare il colore viola, perché il Venerdì santo non è il funerale di Gesù e perché il colore liturgico di questo giorno è rosso. Di quale colore è bene che sia il velo? La ringrazio in anticipo per le risposte.  Cordiali saluti.
Don Antonio risponde:
La benedizione eucaristica è stata sempre impartita senza alcuna formula. Anzi, spesso viene accompagnata da un sottofondo musicale. Invece, imponendo l’incenso nel turibolo il sacerdote (o il diacono) prima della riforma liturgica diceva: “Ab illo benedicaris in cuius honorem cremaberis. Amen” e poi tracciava un segno di croce. Anche l’incensazione dell’altare era accompagnato dalla recita ritmata di alcuni versetti del Salmo 140. Evidentemente, ora siamo sulla linea di un alleggerimento ritualistico il gesto di croce e già significativo e non sempre richiede una esplicitazione verbale.
Benedizione con la croce al termine della Via Crucis.
Il direttorio su pietà popolare e liturgia 8nn.131-135) trattando della via crucis, non accenna a un rito specifico di conclusione. Si tratta di un “pio esercizio”, che consente una certa libertà di impostazione. Tuttavia, bisogna pur congedare i fedeli che vi hanno partecipato: con un segno di croce tracciato dalla mano dal ministro ordinato, oppure con la croce usata per indicare le varie stazioni, della via crucis, probabilmente senza nulla dire, in analogia con la benedizione eucaristica.




Velazione delle croci.
Clara R. scrive:Carissimo don Antonio, grazie infinite per l’aiuto che ci dà con le sue risposte.  Un primo quesito: per valorizzare il passaggio dalla liturgia della Parola a quella eucaristica è possibile invitare, al momento della presentazione dei doni, i fedeli a disporsi attorno alla mensa eucaristica? Un secondo quesito:Qual è il significato di velare le croci e le immagini dei santi dalla V domenica di quaresima  (cf Precisazioni CEI n.21)?   Perché è bene velare o rimuovere le croci dopo la Messa in Coena Domini, com’è suggerito a pag. 144 del Messale Romano? Cordiali saluti.
Don Antonio risponde:
Prima del Concilio, faceva una certa impressione trovare in chiesa, nelle ultime due settimana di Quaresima, le croci e le numerosi immagini velate. Era un segno di austerità e di concentrazione dell’attenzione sulla passione di Cristo. Con la riforma liturgica, a giudizio del Vescovo, si può conservare tale consuetudine a partire dalla V domenica di Quaresima. Non si specifica il colore del velo, ma, evidentemente, in accordo col tempo liturgico, si è sempre usato il colore viola.
Nella celebrazione del Venerdì Santo, la prima forma di “ostensione e adorazione della croce” prevede che essa sia velata, anche qui non è specificato il colore. Però sembra debba essere di colore rosso, come i paramenti del sacerdote.
Al termine della “Messa in “coena domini” il Messale Romano prevede di “spogliare l’altare” e suggerisce di velare o rimuovere le croci, grande segno di austerità e lutto, infatti il Venerdì Santo non si celebra l’Eucarestia, ma solo ci si può comunicare con le Ostie consacrate e conservate della Messa del Giovedì Santo.

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