Lettera di don Antonio Romano per il mese missionario…
La “Missione” della Chiesa, la Chiesa delle “missioni”
“La fede è dono prezioso di Dio, il quale apre la nostra mente perché lo possiamo conoscere ed amare. Egli vuole entrare in relazione con noi per farci partecipi della sua stessa vita e rendere la nostra vita più piena di significato, più buona, più bella. Dio ci ama! La fede, però, chiede di essere accolta, chiede cioè la nostra personale risposta, il coraggio di affidarci a Dio, di vivere il suo amore, grati per la sua infinita misericordia. E’ un dono, poi, che non è riservato a pochi, ma che viene offerto con generosità”.
Cari amici e amiche, come commentare queste parole straordinarie di papa Francesco del suo Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale? La fede è dono prezioso di Dio. Quella fede che ogni uomo, in un modo o nell’altro, cerca e brama durante tutta la sua vita.
Nei miei pochi anni di sacerdozio e di pastorale in parrocchia, nell’AC e all’Università, tantissime volte mi sono imbattuto in persone che, con sincerità, si sono avvicinati per parlare del dono della fede. Persone che chiedevano come fare per continuare ad avere fiducia nel Signore e nella sua Chiesa, soprattutto in situazioni particolari della loro vita.
Quante confessioni e quante chiacchierate confidenziali. Ricordo con grande piacere le bellissime settimane di animazione missionaria all’Università, quando tanti professori aprivano le porte delle loro aule durante le loro ore di lezione, perché gli studenti potessero ascoltare l’esperienza di tanti missionari e missionarie che erano entusiasti di raccontare la loro esperienza di fede, che si concretizza nell’esperienza missionaria.
Quante critiche ed obiezioni da parte di quegli studenti. Una delle espressioni che più ci faceva soffrire era: “ho tanta stima di voi missionari, perché siete i veri testimoni di Cristo, ma la Chiesa non lo è”. Quanto era difficile far capire che i missionari sono tali proprio a nome della Chiesa, quella Chiesa che siamo noi battezzati così come ci ha ricordato lo stesso papa Francesco nel suo messaggio: “La missionarietà non è solo una questione di territori geografici, ma di popoli, di culture e di singole persone, proprio perché i “confini” della fede non attraversano solo luoghi e tradizioni umane, ma il cuore di ciascun uomo e di ciascuna donna. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato in modo speciale come il compito missionario, il compito di allargare i confini della fede, sia proprio di ogni battezzato e di tutte le comunità cristiane: «Poiché il popolo di Dio vive nelle comunità, specialmente in quelle diocesane e parrocchiali, ed in esse in qualche modo appare in forma visibile, tocca anche a queste comunità rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni» (Decr. Ad gentes, 37)”.
Ognuno di noi, dunque, è chiamato a compiere la volontà di Dio, che, cioè, tutti gli uomini conoscano Cristo perché la loro vita sia più piena di significato, più buona e più bella. Noi siamo già buoni e bravi probabilmente. Ma di certo l’incontro con Cristo non fa altro che aiutarci a prenderne coscienza e a vivere la nostra vita in piena libertà e a servizio degli altri, soprattutto dei più poveri, come Lui ci ha insegnato.
Ecco allora il perché di questo titolo: La Missione della Chiesa, la Chiesa delle missioni. Troppe volte, purtroppo, noi cristiani invece di fare nostra l’unica e vera Missione di Cristo e della sua Chiesa, facciamo di tutto per realizzare progetti nostri personali, magari anche disobbedendo alla Chiesa. Se ci diciamo cristiani dobbiamo imparare a vivere da tali, cioè come seguaci di Cristo e suoi imitatori in tutto. Per poter realizzare quest’unica Missione di Cristo è chiaro che lo si possa fare solo se si resta uniti e solo se si vive la comunità, così come ci dice papa Francesco. Nessun prete, nessun consacrato o consacrata, come nessun buon fedele può essere missionario della Chiesa da solo. Ma lo sarà e porterà frutti solo nel momento in cui si sottomette e si lascia guidare dalla sua comunità diocesana o parrocchiale.
La nostra diocesi forse è tra le prime diocesi in Italia per le offerte della GMM e forse è anche una delle prime diocesi d’Italia nella realizzazione di molteplici progetti caritativi e umanitari sparsi in tutto il mondo. Quasi ogni parrocchia della nostra diocesi è legata ad un progetto missionario, o contribuisce alle adozioni a distanza. E tutto questo rende orgogliosa la nostra Chiesa locale e il Signore ci renderà merito di tutto il bene che riusciamo a realizzare. Forse, però, siamo chiamati a perfezionare questa nostra opera caritativa, partendo dall’unione tra di noi. Credo che vivendo assieme e essendo missionari assieme, nonostante le nostre diversità, potremmo fare di più e meglio, ma soprattutto potremmo essere e fare secondo la volontà di Cristo, il quale ha pregato il Padre chiedendo che i suoi siano una cosa sola come Lui e il Padre sono una cosa sola (cfr. Gv 17, 21). Solo così potremmo veramente dirci cristiani e vivere la nostra vocazione missionaria lì dove viviamo e come possiamo. Chi crea divisioni di ogni tipo all’interno della Chiesa non può dirsi cristiano. Facciamo nostre le parole di san Paolo: “Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti” (Rm 12, 18). Quindi sforziamoci di essere testimoni di pace e di unità perché il mondo tutto creda in Cristo e alla sua Chiesa e diventi suo discepolo.
Quando sono in Italia una delle domande frequenti, a volte anche di confratelli, è: ma tu cosa fai in missione? Non nascondo che qualche volta ho voglia di non rispondere, perché non saprei veramente cosa rispondere. Perché è come chiedere ad un medico missionario o di una ONG: ma tu cosa fai in missione? La risposta è, giustamente: faccio il medico e curo le persone. Dunque cosa fa un prete o un laico missionario? Fa quello che fa o dovrebbe fare anche quando è in Italia a casa sua: amare Dio e il prossimo come Cristo ci ha insegnato e far si che anche altri possano credere e sperare in Gesù Cristo e diventare figli della Chiesa. In che modo? Attraverso la pastorale ordinaria della parrocchia, amministrando i sacramenti e catechizzando, prendendosi cura delle scuole legate alla parrocchia e di tutte le attività di sviluppo all’interno del villaggio. Nella sua vita un uomo può fare e realizzare tante cose, ma se fa tutto solo per amor proprio senza l’amore per la famiglia o la comunità e senza il loro coinvolgimento diretto, allora tutto ciò che ha realizzato quasi sicuramente perirà con esso, come ci insegna lo stesso papa Francesco nel suo messaggio per l’ottobre missionario: “Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale. Paolo VI scriveva che «quando il più sconosciuto predicatore, missionario, catechista o Pastore, annuncia il Vangelo, raduna la comunità, trasmette la fede, amministra un Sacramento, anche se è solo, compie un atto di Chiesa». Egli non agisce «per una missione arrogatasi, né in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa» (ibidem). E questo dà forza alla missione e fa sentire ad ogni missionario ed evangelizzatore che non è mai solo, ma parte di un unico Corpo animato dallo Spirito Santo”.
In effetti è proprio questo sentirsi parte della Chiesa che da forza ad ogni cristiano, che decide di essere cristiano autentico e portatore del messaggio di speranza di Gesù là dove vive e lavora. In Italia, come in ogni altro paese del mondo, essere cristiani autentici non è stato facile, non lo è e non lo sarà mai, perché si è chiamati ad andare sempre controcorrente, il che costa tanta fatica e pazienza. Ma se non ci si sente soli e si è certi di non essere soli, perché membri dell’unica Chiesa di Cristo, allora anche le più grandi difficoltà possono essere superate e i più grandi pesi possono essere portati, perché condivisi con gli altri. E così oltre la fatica e i dolori si può contare sulla gioia del vivere assieme nella condivisione.
Proprio per questo vorrei ringraziare tutti voi, cari amici ed amiche, perché ovunque io mi trova e in qualsiasi situazione di disagio io mi possa trovare, so con certezza di non essere solo, ma di essere in compagnia di tutti voi e della nostra amata madre Chiesa, che ci ha generati alla fede e ci ha permesso di vivere assieme l’esperienza dell’amore.
Vorrei concludere con questo pensiero letto qualche giorno fa sulla pagina facebook di un’amica: “C’è una grande differenza tra il piacere e l’amore. Se ti piace un fiore lo stacchi immediatamente, se lo ami, lo annaffi e te ne prenderai cura per sempre. (Kristiano Loshi). Ascolto, ascolto attento! Questo è quello che il Figlio di Dio ci ha insegnato incarnandosi. Il vivere assieme non è facile, soprattutto, con persone di culture diverse e con modi di pensare diverso. Spesso diventa ancora più difficile, e direi impossibile, proprio perché ci si chiude nei propri pregiudizi, orgogli, superbie ed egoismi e non ci si mette in ascolto attento dell’altro. E allora ci si arriva a falciare l’altro o perché lo si vuole eliminare o perché lo si vuole possedere.
Che il Signore ci aiuti a fare o amare non solo le persone e le cose che ci piacciono o che ci fanno piacere, ma ad amare tutto quello che siamo e che facciamo in nome di Cristo e della sua Chiesa. Perché solo attraverso l’amore vero possiamo realizzare il progetto di Dio nella nostra vita.
Dio benedica noi tutti perché, per intercessione della Vergine Maria e dei santi Apostoli, primi testimoni del Cristo, sempre nella nostra vita e dappertutto nel mondo possiamo essere testimoni della sua Chiesa di Amore.
24 agosto 2013
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