Il “Giorno della Memoria”, nel ricordo di due salernitani…
Giovedì 19 dicembre 2010 sono state consegnate, dal prefetto di Salerno Sabatino Marchione, ventidue medaglie d’onore concesse dal Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano. Destinatari cittadini salernitani, o loro eredi, che durante la seconda guerra mondiale furono deportati in Germania e dislocati in vari campi di concentramento.
La giornata incentrata sul ricordo, è stata ricca di testimonianze che hanno fatto rivivere il nero dell’orrore. Tra le tante vi proponiamo due tracce per la riflessione, per non dimenticare.
Il ritorno a casa (Salvatore Amato)
Quando il treno si fermava nella piccola stazione di Cava de’Tirreni, una donna con tre bambini, era lì ogni giorno. Da mesi, aspettava una figura ormai persa nel tempo, una lacrima, un tuffo nel cuore e poi una frase ripetuta: bambini torniamo a casa papà è ancora a “lavoro”.
In tasca una foto, in bianco e nero come il colore del cielo, durante i bombardamenti.
Un giorno, un colpo di vento, il vapore che vola via dalla locomotiva, tra le pietre un’ombra di un uomo che ritorna.
A distanza di anni, ricordo ancora mio nonno davanti al tremolio del focolare, che disegnava ombre sul muro e mi raccontava la sua guerra.
Di persone conosciute in un attimo, con cui si divideva tutto e poi scomparse nel nulla, tra il filo spinato.
Delle preghiere silenziose, interminabili, come la notte passata di guardia.
Dell’Albania, della Germania, degli amici trucidati, delle torture subite e di come grazie a “bucce” di patate rubate, riuscì a sfuggire ai forni crematori.
Deportato a Lipsia (Ottavio Bloise)
Era l’otto settembre, eravamo appena tornati dalla Grecia e non volevamo aderire all’esercito nazista.
Ci portarono quindi a Vercelli, in stazione ci fecero salire su carri bestiame. Eravamo 75 persone per carro.
In quella circostanza tanti amici morirono di fame, ma soprattutto di sete. Infatti il nostro unico grido era wasser, wasser (acqua, acqua).
Viaggiammo tre giorni senza sapere dove ci avrebbero portati. Quando il treno si fermava, non venivano neanche a vedere se eravamo vivi o morti.
Tutti schiacciati e tutti in lotta per la vita.
Mi ricordo che per tirare avanti pregavo e pensavo alla mia famiglia e più pensavo, più pregavo.
Arrivammo a Lipsia, fummo destinati al lager nr 4 […].
Un lampo illumina sempre le mie notti, il luccichio di un orologio che apre la porta e una voce che ci dice che eravamo liberi…che strana parola per chi non conosce più la libertà.
La libertà di poter andare dove si vuole, di poter bere, di poter mangiare quando si vuole.
La libertà, la cosa più bella che Dio ci ha donato…
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