Figli senza nozze? «Società più fragili»
|Oltre un bambino su 3, in tutta Europa, nasce fuori dal matrimonio. È un fenomeno sociale in crescita, che coinvolge tutti i Paesi, dall’estremo Nord alle nazioni che si affacciano sul Mediterraneo. Un fenomeno che ha visto le sue dimensioni raddoppiare in appena due decenni. Se nel 1990 le nascite da genitori non sposati erano il 17,4 per cento del totale, nel 2008 sono passate al 35 per cento. È la fotografia del Vecchio Continente scattata dall’Eurostat – ente di statistica dell’Unione Europea– nel suo bollettino annuale, pubblicato nei giorni scorsi. Tutti i Paesi vedono aumentare la quota di bimbi nati fuori dal matrimonio, eccetto la Danimarca, ma solo perché la percentuale è già altissima (46 per cento). È al Nord che il fenomeno è particolarmente massiccio: oltre un bambino su due nasce da coppie non sposate in Estonia, Svezia, Slovenia, Francia e Bulgaria.
E in Italia? Il nostro Paese, indica l’Eurostat, segue la tendenza: se nel 1990 i bambini nati fuori dal matrimonio erano il 6,5 per cento, nel 2008 sono stati il 17,7 per cento (un dato, per la verità, che non coincide del tutto con quello – 19,6 per cento, oltre 102 mila nati – fornito dall’Istat con riferimento allo stesso anno). «I dati confermano una tendenza in atto da decenni – riflette Riccardo Prandini, docente di Sociologia all’Università di Bologna –. Anche Italia, Spagna e Grecia vedono aumentare le percentuali di figli nati fuori dal matrimonio, anche se con tassi di crescita inferiori grazie a una diversa cultura del legame di coppia». Già, perché sul banco degli imputato sale proprio il matrimonio, che sembra perdere appeal anno dopo anno: l’Eurostat informa che se nel 1990 nei 27 Paesi Ue si registravano 6,3 nozze ogni mille persone, oggi sono 4,9.
L’aumento delle nascite da genitori non sposati però apre interrogativi non solo sul valore che una società attribuisce al matrimonio, ma anche sulle scelte di vita delle persone. «Proprio così: la nostra è una società in cui le tappe che portano dalla giovinezza all’età adulta vengono posticipate quasi in ogni campo: gli studi durano di più, si vive più a lungo nella famiglia d’origine, si convive per anni prima di sposarsi, si fanno figli più tardi… », riflette Prandini.
Dentro questo slittamento, secondo il sociologo, si inquadra il boom delle nascite fuori dal matrimonio, perché in grandissima parte è proprio l’arrivo del bambino a sospingere i genitori a sposarsi, più per dare garanzie al figlio che per coronare l’unione con una promessa davanti alla società. «È quanto avviene regolarmente in Italia – assicura il docente –. E questo ci dice che il figlio rimane un bene ricercato dalla coppia e che oggi è il figlio a “fare” la famiglia, non il matrimonio». Quello che è andato in crisi, dunque, è il valore simbolico delle nozze, l’idea di un “patto sociale”, con una forte rilevanza pubblica, stretto da un uomo e una donna. Con tutte le conseguenze in termini di “fragilità sociale” che questo comporta. «Ancora oggi le ricerche mostrano – continua Prandini – che essere sposati è associato statisticamente a vivere più a lungo, con più qualità, sicurezze di vario tipo…».
L’esperimento di una società che crede nei figli ma fa a meno del matrimonio dunque è rischiosa proprio perché potrebbe indebolire il senso di responsabilità pubblica della famiglia, sostituendola con una più evanescente “associazione di interessi” o di emozioni. Sulla stessa lunghezza d’onda Giulia Paola Di Nicola, docente di Sociologia all’Università di Chieti: «È statisticamente provato che i legami senza matrimonio sono più fragili. E questa fragilità garantisce meno il futuro e la maturità dei figli. Non è un caso che psicologi e sociologi segnalino che la maggior parte dei casi di disagio nascono da storie familiari labili».
Correggere questa tendenza è difficile. «La politica non ha abbastanza chiaro – continua Di Nicola – che il matrimonio costituisce un vantaggio per la società. Se si investisse sulla prevenzione, lavorando cioè perché ci siano persone in grado di formare famiglie forti e soddisfatte, si risparmierebbe una gran parte dei soldi che attualmente si spendono per riparare ai guasti sociali dei matrimoni falliti…». Diagnosi severa, che Prandini esprime in altri termini: bisognerebbe mettere mano a una campagna culturale che spieghi alle coppie il valore sociale e pubblico delle loro relazioni intime, in modo tale da ridare significato alla promessa contenuta nel matrimonio civile.
Da “Avvenire” on line del 17 settembre 2010 Antonella Mariani