Campagna della Caritas Internationalis: no a badanti-schiavi
|
La Caritas Internationalis ha lanciato, in questi giorni, una campagna per sensibilizzare i governi di tutto il mondo a tutelare i migranti che lavorano nelle case in qualità di camerieri, badanti e assistenti a domicilio. Per la maggior parte si tratta di donne – afferma la Caritas – senza assistenza legale, sottopagate e talora ridotte in uno stato di semi-schiavitù. Sugli obiettivi di questa campagna vi segnaliamo integralemte l’articolo intervista di Philippa Hitchen, a Martina Liebsch, direttore delle Politiche di Caritas Internationalis, apparso sul sito di radio vaticana.
R. – Vorrebbe anzitutto che la percezione verso i lavoratori domestici o i badanti sia più positiva, anche perché lavorano nelle nostre case e sono molto vicini a noi: quindi, che siano trattati con rispetto, che siano trattati con dignità e come esseri umani. D. – Voi avete documentato moltissimi casi in cui questo non avviene, storie veramente agghiaccianti … R. – Purtroppo sì: l’abbiamo visto in tanti Paesi. Abbiamo fatto un piccolo studio che si chiama “La sofferenza invisibile dei lavoratori domestici”, che vivono su accordi privati, perché spesso la legislazione non c’è o perché la persona è nel Paese in termini di irregolarità. Ciò nonostante, anche queste persone hanno diritti fondamentali che molte volte non sono presi in considerazione. Tra le cose che chiediamo, come avviene in alcuni Paesi, che il loro permesso di soggiorno, che il loro permesso di lavoro non sia legato ad un solo datore di lavoro, ma che possano perlomeno, se incontrano situazioni di abuso, cambiare il datore di lavoro, cosa che non succede in tanti Paesi. L’altra richiesta che abbiamo è che ci siano agenzie riconosciute e controllate dal governo, che assicurino che la relazione datore di lavoro-impiegato sia una relazione in base alle norme o che perlomeno rispetti lo standard di base vigente in quel Paese. E finalmente, quello che vorremmo, è che ci sia questa Convenzione internazionale del lavoro che inserisca nella medesima un paio di standard per proteggere questa categoria di lavoratori. Speriamo che ci siano tanti Stati che aderiscono a questa Convenzione: sappiamo che i negoziati richiederanno del tempo e sappiamo anche che poi dipenderà tutto da quali Stati andranno a ratificare, poi, questa Convenzione. D. – Infatti, in questo momento sono pochissimi i Paesi che hanno una legislazione in questo ambito … R. – Sì. In effetti quello che noi abbiamo rilevato, tramite la piccola ricerca che abbiamo fatto, è che sembra che soltanto 19 Stati abbiano una legislazione in vigore; altri hanno legislazioni parziali mentre molti, per esempio, escludono i lavoratori domestici dal cosiddetto “social welfare” che quindi non hanno diritto al permesso per la maternità, non hanno diritti per la pensione, oppure hanno diritti che sono al di sotto dello standard in vigore per altre categorie di lavoratori.
R. – Vorrebbe anzitutto che la percezione verso i lavoratori domestici o i badanti sia più positiva, anche perché lavorano nelle nostre case e sono molto vicini a noi: quindi, che siano trattati con rispetto, che siano trattati con dignità e come esseri umani. D. – Voi avete documentato moltissimi casi in cui questo non avviene, storie veramente agghiaccianti … R. – Purtroppo sì: l’abbiamo visto in tanti Paesi. Abbiamo fatto un piccolo studio che si chiama “La sofferenza invisibile dei lavoratori domestici”, che vivono su accordi privati, perché spesso la legislazione non c’è o perché la persona è nel Paese in termini di irregolarità. Ciò nonostante, anche queste persone hanno diritti fondamentali che molte volte non sono presi in considerazione. Tra le cose che chiediamo, come avviene in alcuni Paesi, che il loro permesso di soggiorno, che il loro permesso di lavoro non sia legato ad un solo datore di lavoro, ma che possano perlomeno, se incontrano situazioni di abuso, cambiare il datore di lavoro, cosa che non succede in tanti Paesi. L’altra richiesta che abbiamo è che ci siano agenzie riconosciute e controllate dal governo, che assicurino che la relazione datore di lavoro-impiegato sia una relazione in base alle norme o che perlomeno rispetti lo standard di base vigente in quel Paese. E finalmente, quello che vorremmo, è che ci sia questa Convenzione internazionale del lavoro che inserisca nella medesima un paio di standard per proteggere questa categoria di lavoratori. Speriamo che ci siano tanti Stati che aderiscono a questa Convenzione: sappiamo che i negoziati richiederanno del tempo e sappiamo anche che poi dipenderà tutto da quali Stati andranno a ratificare, poi, questa Convenzione. D. – Infatti, in questo momento sono pochissimi i Paesi che hanno una legislazione in questo ambito … R. – Sì. In effetti quello che noi abbiamo rilevato, tramite la piccola ricerca che abbiamo fatto, è che sembra che soltanto 19 Stati abbiano una legislazione in vigore; altri hanno legislazioni parziali mentre molti, per esempio, escludono i lavoratori domestici dal cosiddetto “social welfare” che quindi non hanno diritto al permesso per la maternità, non hanno diritti per la pensione, oppure hanno diritti che sono al di sotto dello standard in vigore per altre categorie di lavoratori.