Vangelo della famiglia. "Le nozze… un dono…"

Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù.


Vangelo: Is 62,1-5; Sal 95; ICor 12,4-11; Gv 2,1-12  Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 3,15-16.21-22)

OLYMPUS DIGITAL CAMERAIl profeta l’aveva preannunciato: “Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, / né la tua terra sarà più detta Devastata, /ma sarai chiamata Mia Gioia /e la tua terra Sposata, /perché il Signore troverà in te la sua delizia /e la tua terra avrà uno sposo” (Isaia 62,4). Sì: il Regno è una festa di nozze, e le nozze sono la festa del Regno.

Molti anni dopo, a Cana, in Galilea. Il tempo “pubblico” di Gesù si apre proprio con una festa di nozze: “Sì, come un giovane sposa una vergine, / così ti sposeranno i tuoi figli; /come gioisce lo sposo per la sposa, /così il tuo Dio gioirà per te(5). Si apre nel segno di una convivialità della quale oggi, nonostante la frenesia di divertimento, forse non conserviamo neppure più che un lontano ricordo e una struggente nostalgia.

La stagione conviviale, in cui la spontaneità del dono diventi momento celebrativo dell’esistenza umana e della relazione, in grado di contrapporsi al criterio sempre più consolidato del puro interesse, è ancora lontana dalla nostra esperienza quotidiana. Non è facile, oggi, infatti, sperimentare, come donatori o come riceventi, il valore sommo della gratuità.

Ogni «dono» può essere viziato da una serie infinita di interpretazioni che spesso ne snaturano il significato profondo. Un «dono» può essere fatto con intenti esibizionistici o con la sottile arte politica del coinvolgimento; può essere usato come mezzo per consolidare un’alleanza o per accattivarsi qualcuno; può mettere in imbarazzo chi lo riceve e può contenere la tacita aspettativa del contraccambio… Come diceva il noto psicoterapeuta scozzese Ronald Laing, rifacendosi alla cerimonia del the dello Zen, la cosa più facile e al contempo più difficile, è proprio ad offrire ad un altro una tazza di the, e cioè mettersi e contemporaneamente essere colti dall’altro in una disposizione tale per cui una persona (che sia genuinamente se stessa) offra in modo reale e non solo apparente ad un’altra persona (vissuta cioè nella sua vera essenza di persona) una tazza di the (vera, reale, liberata da ogni sovrapposizione simbolica).

Divagazioni «laiche»? No, non credo; anzi, vorrei dimostrare che tali non sono.

La festa è già un miracolo, ed ogni festa è un’anticipazione del Regno.

C’era un clima di gioia in quella festa di nozze. Ho vissuto qualcosa del genere in Messico, tra persone poverissime: la gioia diventava contagiosa, pur all’interno di un contesto dagli inimmaginabili problemi. Gesù e i suoi amici stavano discorrendo, e forse si infervoravano anche, parlando del Regno, e mentre l’amicizia si rinsaldava (a tavola si scopre sempre il gusto della fraternità) tutti sentivano scorrere nelle vene un’ebbrezza strana e prendeva forma la consapevolezza di una missione straordinaria in mezzo ad un popolo ansioso di accogliere la grande promessa della liberazione… I poveri veri sono quelli più vicini al Regno perché sanno che cosa significa, quali fatiche comporta, attendere la liberazione. I “ricchi” sono già “liberi”, non sanno che farsene di un Regno di gratuità. Sì, in quella festa nuziale il Regno acquistava consistenza, una grande avventura, un disegno liberatore già si intravedeva.

Maria taceva ed ascoltava. Gioia, tristezza e speranza si fondevano nel suo cuore formando un sentimento indefinito. Ma Lei, vedeva. Poi una supplica angosciata, quasi un soffio: “Non hanno più vino…“.

Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora“.

La risposta di Gesù appare (ma in realtà non è) brutale, sovratemporale, astratta, tanto quanto l’invocazione di Maria e la sua successiva decisione sono calate nella concretezza storica del quotidiano… “Qualsiasi cosa vi dica, fatela“.

Gesù non si è piegato alla decisione di Maria solo per una sorta di ossequio formale nei confronti della madre.

Lui sa bene che le ragioni della festa, del dono gratuito, della convivialità devono prevalere in quel Regno di cui siamo spessi abituati a parlare in astratto e certo hanno prevalso sul progetto del Cristo che stava vivendo il suo tempo di attesa.

Gli sposi, la famiglia, le loro condizioni storiche reali vengono prima delle teologie disincarnate e delle teorie spesso escludenti.

A ben vedere, nella Chiesa sono necessari due atteggiamenti che si interfacciano, si compenetrano fino a diventare cultura condivisa: l’atteggiamento profetico, che per sua natura è escatologico, anticipatorio cioè di una realtà che si compirà nel tempo, e l’atteggiamento del vivere l’oggi di Dio, del coinvolgimento storico nel quotidiano.

Noi siamo tentati spesso di privilegiare uno di questi due momenti e la storia della Chiesa è ricca delle tensioni anche dolorose tra chi sostiene l’esigenza dell’incarnazione e chi invece quella della tensione profetica verso il Regno. Occorre certamente una sintesi e io credo che la famiglia possa essere il luogo teologico ed antropologico in cui questa sintesi viene elaborata. Ma non dobbiamo rinunciare contemporaneamente a fare in modo che la sintesi passi all’interno di ognuno di noi, per poter essere ad un tempo dono (gratuito) ai fratelli e segni di “nuovi cieli e nuova terra”.

Allora – solo allora – tutti noi singolarmente, la nostra coppia, la nostra famiglia saremo «miracolo» per gli altri, portatori consapevoli della più difficile e sofferta delle profezie: quella del Regno.

Traccia per la revisione di vita

– Se siamo sposati, che cosa ricordiamo della nostra festa di nozze?
– Qual è l’atteggiamento che prevale in noi: quello profetico o quello storico?
– In famiglia, riusciamo a elaborarne una sintesi? Come?

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