Teologia del comunicare

Solitamente si dà della comuni­cazione una definizione empi­rica: comunicare è «dire qual­cosa a qualcuno». Dove quel «qual­cosa » si può allargare a livello pla­netario, attraverso il grande mondo della rete che è andato ad aggiun­gersi ai mezzi di comunicazione classici. Anche quel «qualcuno» ha subìto una crescita sul piano globa­le, al punto che gli uditori o i fruitori del messaggio in tempo reale non si possono nemmeno più calcolare.

Questa concezione empirica, alla luce dell’odierno allargamento di prospettive, dove sempre più si co­munica senza vedere il volto dell’al­tro, ha fatto emergere con chiarezza il problema maggio­re della comunica­zione, ossia il suo av­venire spesso solo e­steriormente, man­tenendosi sul piano delle nude informa­zioni, senza che co­lui che comunica e colui che riceve la comunicazione vi siano implicati più di tanto.
Per questo vorrei tentare di dare della comunicazione una descrizio­ne «teologica», che parta cioè dal comunicarsi di Dio agli uomini, e lo vorrei fare enunciando qui alcune riflessioni che potrebbero servire per una nuova descrizione del feno­meno.
Nel sepolcro di Gesù, la notte di Pa­squa, si compie il gesto di comuni­cazione più radicale di tutta la sto­ria dell’umanità. Lo Spirito Santo, vivificando Gesù risorto, comunica al suo corpo la potenza stessa di Dio. Comunicandosi a Gesù, lo Spi­rito si comunica all’umanità intera e apre la via a ogni comunicazione autentica. Autentica perché com­portail dono di sé, superando così l’ambiguità della comunicazione u­mana in cui non si sa mai fino a che punto siano implicati soggetto e og­getto.
La comunicazione sarà dunque an­zitutto quella che il Padre fa di sé a Gesù, poi quella che Dio fa a ogni uomo e donna, quindi quella che noi ci facciamo reciprocamente sul modello di questa comunicazione divina. Lo Spirito Santo, che ricevia­mo grazie alla morte e resurrezione di Gesù e che ci fa vivere a imitazio­ne di Gesù stesso, presiede in noi al­lo spirito di comunicazione. Egli pone in noi caratteristiche, quali la dedizione e l’amore per l’altro, che ci richiamano quelle del Verbo in­carnato. Di qui potremmo dedurre alcune conclusioni su ogni nostro rapporto comunicativo.
Primo. Ogni nostra comunicazione ha alla radice la grande comunica­zione che Dio ha fatto al mondo del suo Figlio Gesù e dello Spirito San­to, attraverso la vita, morte e resur­rezione di Gesù e la vita di Gesù stesso nella Chiesa. Si capisce per­ciò come i Libri sacri, che in sostan­za parlano di questa comunicazio­ne, siano opere di grande valore per la storia del pensiero umano. È vero che anche i libri di altre religioni possono essere ricchi di contenuto, ma questo è dovuto al fatto che sot­tostà a essi il dato fondamentale di Dio che si dona al­l’uomo.
Secondo. Ogni co­municazione deve tenere presente come fondante la grande comunica­zione di Dio, ca­pace di dare il rit­mo e la misura giusti a ogni gesto comunicativo. Ne consegue che un gesto sarà tanto più comunicativo quanto non solo comunicherà informazioni, ma metterà in rap­porto le persone. Ecco perché la co­municazione di una verità astratta, anche nella catechesi, appare ca­rente rispetto alla piena comunica­zione che si radica nel dono di Dio all’uomo.
Terzo. Ogni menzogna è un rifiuto di questa comunicazione. Quando ci affidiamo con coraggio all’imita­zione di Gesù, sappiamo di essere anche veri e autentici. Quando ci distacchiamo da questo spirito, di­veniamo opachi e non comunican­ti.
Quarto. Anche la comunicazione nelle famiglie e nei gruppi dipende da questo modello. Essa non è sol­tanto trasmissione di ordini o pro­posta di regolamenti ma suppone una dedizione, un cuore che si do­na e che quindi è capace di muove­re il cuore degli altri.
Quinto. Anche la comunicazione nella Chiesa obbedisce a queste leggi. Essa non trasmette solo ordi­ni e precetti, proibizioni o divieti. È scambio dei cuori nella grazia dello Spirito Santo. Perciò le sue caratte­ristiche sono la mutua fiducia, la parresia, la comprensione dell’al­tro, la misericordia.
 
Card. Carlo Maria Martini

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