Don Antonio Sorrentino presenta il nuovo direttorio per la celebrazione dei Sacramenti

PRESENTAZIONE DEL DIRETTORIO PER LA CELEBRAZIONE DEI SACRAMENTI 

Finalmente anche la nostra arcidiocesi, come già molte diocesi della Campania, ha il suo Direttorio liturgico-pastorale: è un agile volumetto di 80 pagine, che sostituisce le sei paginette del precedente mini-Direttorio di 18 anni fa. Esso è stato promulgato con Decreto arcivescovile l’11 giugno u.s. e andrà in vigore dal 1° settembre p.v. Questo Direttorio si inserisce nel solco del Piano pastorale, il quale ha tracciato le linee per un’azione concorde, che ravvivi la fede in Cristo e la proponga agli indifferenti e ai lontani come esperienza vitale che sola – come afferma ripetutamente Benedetto XVI – può dare all’uomo senso e futuro, speranza e gioia.

 1. Incontrare Cristo

Il Piano pastorale significativamente si intitola “Ripartire da Cristo”: cioè impegna a riscoprire, reincontrare, riproporre Cristo. In realtà, la fede non è semplicemente dare l’assenso ad alcune verità. Essa nasce da un incontro di amore con l’umanità divina di Gesù, capace di dare una svolta alla nostra esistenza.

“Venite e vedrete”, disse un giorno Gesù ad Andrea e Giovanni. Lo stesso invito Egli ripete oggi a quanti incontra sul suo cammino. Dopo essere stati con Lui un pomeriggio intero, i due discepoli riproposero l’invito ai rispettivi fratelli. Dall’incontro nasce la risposta, che si fa sequela gioiosa e coinvolgente e diventa poi testimonianza franca e missione generosa.

Concretamente: dove, come avviene l’incontro con Gesù?

Si può incontrare Gesù solo intellettivamente, conoscendone storicamente la persona. Lo si può incontrare moralmente, condividendone, almeno in parte, il messaggio evangelico di amore e fraternità. Ma l’incontro vero e salvante è quello che permette l’inserimento vitale in Lui, quali tralci nella vite, che dà linfa divina alla nostra povera vita umana e la proietta verso il suo eterno compimento.

Dove incontriamo Gesù? Nel suo corpo sacramentale, la Chiesa, che è – come dice l’agostinista Blaise Pascal – “il corpo esteso e moltiplicato di Cristo”. La Chiesa è la sposa cui Cristo ha affidato se stesso con tutti i suoi doni di grazia: la Parola che illumina il cammino, il perdono che ridona fiducia, la vita nuova che trasfigura l’esistenza, l’Eucaristia che ci fa uno in Cristo e tra noi.

Questi doni vengono comunicati con dei gesti concreti ecclesiali, che hanno la loro massima espressione ed efficacia nelle azioni liturgiche sacramentali.

Periodicamente ritorna l’antica tentazione spiritualistica, che pretende di vivere il rapporto con Dio da soli, quasi con un filo diretto terra-cielo. Tentazione che nel corso della storia prese forma nello gnosticismo, nel catarismo, in parte nel protestantesimo, e che oggi rivive nella religiosità vaga di new-age, ma trova adesioni anche in tanti cattolici, i quali si dichiarano cristiani senza appartenenza ecclesiale e alcuna mediazione sacramentale.

Pertanto, è necessario riaffermare, con le parole di Sant’Ambrogio e di Sant’Efrem, la nostra antica professione di fede: “Io incontro te, abbraccio te, Signore, nei tuoi sacramenti”.

Il Cristianesimo, infatti, è fondamentale e strutturalmente una religione sacramentale, perché è coerente con l’agire di Dio che nella storia della salvezza ha relazionato con l’uomo comunitariamente (cfr. LG 9) e “mediante gesti e parole intimamente connessi” (DV 2) e si è rivelato pienamente nel Figlio incarnato, il quale è “irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (Eb 1,3). Egli “ha pensato con mente di uomo, ha amato con cuore di uomo, ha agito con mani di uomo” (GS 22): da Lui usciva una virtù risanatrice (cfr. Lc 8,46), che deve giungere come salvezza agli uomini di tutti i tempi.

Ma la sacramentalità è anche elemento strutturale dell’uomo, quale è impastato di segni, vive di segni, relaziona con segni.

2. Sguardo di fede e mediazione umana

La convinzione di fede che nella nostra celebrazione agisce il Signore con la grazia del suo Spirito e la mediazione del suo corpo che è la Chiesa, dà vigore al nostro servizio pastorale, rendendolo fiducioso e fecondo. Noi sacerdoti siamo in primis ministri di questa grazia salvante. Bernanos scriveva nel suo Diario di un curato di campagna: “Mistero di queste mani vuote sacerdotali, che il Signore riempie della sua grazia, per farne dono al popolo di Dio!”. Perciò, nel celebrare siamo sempre colmi di stupore e di umiltà. I doni di Dio ci precedono e ci trasformano. Occorre riconoscerli, rispettarli e farcene adeguati dispensatori.

È vero che la grazia opera efficacemente anche al di là dei nostri meriti, ma è altrettanto vero che per indolenza o superficialità possiamo rendere impercettibile l’azione dello Spirito e infruttuoso il suo dono di salvezza.

Una grave responsabilità, questa, che dovrebbe renderci sempre attenti e impegnati nel preparare seriamente i fedeli ai sacramenti con una catechesi adeguata, nel celebrarli serenamente e nel viverne coerentemente gli impegni che ne derivano.

Il Direttorio si pone su questo duplice versante: cristologico e antropologico, perché la celebrazione è sempre grazia in atto, ma si pone sulla linea della comunicazione e deve rispettarne le leggi.

Il Direttorio è uno strumento pastorale, che intende ridisegnare, ripulire e rendere più agevole l’itinerario pastorale per la crescita della comunità nella fede, nella speranza e nell’amore. Pertanto, esso si compone di due elementi strettamente congiunti: teologia e pastorale.

3. Le parti del Direttorio

Il Direttorio si apre con il Decreto arcivescovile, che lo promulga quale legge obbligante per la nostra arcidiocesi. L’Introduzione richiama alcuni principi fondamentali di teologia liturgica e sacramentale. Seguono sette capitoli, dedicati a ciascuno dei sette Sacramenti: di essi richiama la fondazione biblico-teologica e propone la normativa celebrativa. Il Direttorio è completato da due Appendici finali, riguardanti rispettivamente le norme per fiorai, cantori e fotografi e le offerte libere da parte di fedeli per le celebrazioni sacramentali e le esequie.

Come corredo iconografico, è sembrato opportuno impreziosire il Direttorio riproducendo alcuni Avori salernitani del XII secolo, conservati nel Museo Diocesano. Sono davvero un grande patrimonio artistico e catechetico. Quelle piccole, ma dense sculture, esplicitate da testi biblici, non solo abbelliscono il testo, ma potrebbero essere un buon punto di riferimento per introdurre o commentare i contenuti del Direttorio.

Il Direttorio è stato stampato in 700 copie: esse sono reperibili presso ciascun Vicario foraneo o anche presso l’Ufficio liturgico diocesano.

Il Direttorio riguarda il clero, ma coinvolge anche i fedeli. Perciò è stato preparato un Manifesto, che riporta le norme pratiche che interessano più direttamente i fedeli. Esso sia affisso davanti ad ogni chiesa aperta al culto

4. La componente normativa del Direttorio

Non è compito di un Direttorio riproporre tutte le premesse e le rubriche dei libri liturgici, o i canoni del Codice di Diritto Canonico, ai quali si rimanda per una visione più completa. Si è inteso solo evidenziare alcuni punti spesso più disattesi sia sul versante della catechesi presacramentale sia su quello della celebrazione in atto.

“Principi e norme”, per antica e consolidata tradizione ecclesiale, vanno sempre insieme, a evitare di parlare a vuoto o di agire in modo disordinato e arbitrario. Purtroppo, da più parti si lamentano abusi ed eccentricità nelle celebrazioni. Talvolta si è passati da un rituale spesso freddo e rigido a un creatività selvaggia, che indica poco rispetto per la liturgia, pressapochismo, talvolta smania di protagonismo, presunzione di innovazione e di diversità, ricerca di spettacolarità. Ma “la spettacolarità”, dicono i vescovi italiani, “spegne il mistero”, mentre, d’altro lato, “la fretta è la peste della preghiera” (Sant’Alfonso).

Una celebrazione è bella se è vera, se cioè conduce all’incontro con Cristo. Se non raggiunge questo risultato, abbiamo fatto scena, abbiamo perso tempo. Ogni celebrazione è segno che indica il centro da raggiungere, il mistero pasquale di Cristo. Se l’attenzione si ferma al rito, ai ministri, questi rischiano di essere schermo anziché trasparenza di Cristo. Tutto ciò che impedisce questo incontro è “diabolico”, perché allontana da Cristo anziché condurre a Lui. Letture improvvisate, canti non coerenti con la celebrazione, movimenti scomposti di fotografi o di ministranti impreparati, mancanza di silenzio e di raccoglimento: sono tutti elementi distraenti che distolgono da Cristo e perciò snaturano al liturgia. Sant’Ambrogio affermava: “Il demonio preferisce il chiasso, Cristo, invece, vuole il silenzio, il raccoglimento”.

Benedetto XVI, sulla scia del Magistero del beato Giovanni Paolo II, insiste nel dire: “Il primo modo con cui si favorisce la partecipazione del popolo di Dio al rito sacro è la celebrazione adeguata. L’arte di celebrare è la migliore condizione per l’attiva partecipazione. La migliore catechesi sull’Eucaristia è la stessa celebrazione eucaristica ben fatta” (Sacramentum caritatis, nn. 38.39).

Il Direttorio dà anche delle norme ben precise: esse sono necessarie sia come esigenza interna della celebrazione sia come strumento per un’azione pastorale concorde e convincente presso il popolo di Dio, il quale ha diritto a vederci chiaro e a non sentirsi incerto e sbandato tra un rigorismo gratuito e inopportuno e un lassismo facilone che, svendendo la “grazia a buon mercato” (Bonhoeffer), svaluta e offende la dignità dei Sacramenti e delle persone stesse che li chiedono.

Il Codice di Diritto Canonico avverte esplicitamente: “Nelle celebrazioni dei Sacramenti si seguano fedelmente i libri liturgici” (can. 846, § 1), senza riduzioni né aggiunte, senza indulgere né alla fretta né alla pomposità. Stravolgere i riti è atto di infedeltà alla Chiesa e abuso autoritario. Giovanni Paolo II invitava a “osservare con grande fedeltà le norme liturgiche” (Ecclesia de Eucaristia, n. 52). A sua volta, Benedetto XVI richiama autorevolmente: “La semplicità dei gesti e la sobrietà dei segni, posti nell’ordine e nei tempi previsti, comunicano e coinvolgo di più che l’artificiosità di aggiunte inopportune” (Sacramentum caritatis, n. 40).

A loro volta, i Vescovi italiani richiamano la necessità di stare alla disciplina liturgica e sacramentale e a “non confondere la sana creatività con la novità a tutti i costi, che fa smarrire il vero significato del mistero celebrato, il quale non è mai possesso individuale, ma dono di grazia ricevuto nella Chiesa” (Comunione, comunità e disciplina ecclesiale, nn. 70.71).

Le norme, pertanto, sono necessarie al lavoro pastorale e sono più valide se sono state concordate e più convincenti se vengono da tutti attuate. Il buon frutto del nostro servizio pastorale è sempre affidato alla grazia del Signore (che certamente non manca), ma anche all’impegno nostro e dei nostri collaboratori.

È strano che, mentre in campo amministrativo dobbiamo rendere conto (a Monti o all’economo diocesano) anche dei centesimi, invece in campo liturgico a volte prevale una prassi da optional, per cui ci permettiamo molte approssimazioni ed evasioni: il danaro vale forse più della grazia?

Il Concilio definisce la liturgia esercizio del sacerdozio di Cristo e la presenta come “fonte e culmine di tutta la vita della Chiesa” (Sacrosanctum Concilium, nn. 7.10). Karl Barth qualificava la liturgia come “l’azione più bella, più grande, più preziosa della Chiesa qui in terra”.

Per raggiungere il suo scopo, che è insieme la glorificazione di Dio e la santificazione degli uomini, vorrei suggerire quattro “S” che dovrebbero qualificare una celebrazione, affinché sia: sacra, perché è dono divino, azione di Cristo e della sua Chiesa; seria, perché è celebrazione del mistero pasquale di morte e risurrezione; sobria, perché l’eccessivo occulta il mistero che essa ripresenta; serena, cioè non ansiosa né agitata, ma fiduciosa, perché siamo “figli nel Figlio” (Sant’Agostino) e agiamo al cospetto di Dio Padre che ci ama.

5. Dono e impegno

Atteso da tempo, il Direttorio è il risultato di una vasta consultazione e di uno schietto confronto a livello centrale e foraniale. Nessuno può dire: “Io non sapevo”, perché il testo definitivo è la quinta redazione e tutti sono stati sollecitati a far pervenire le proprie osservazioni.

Vorrei ringraziare l’Arcivescovo per la sua proposta iniziale e per il paziente controllo, quasi letterale, di ogni pagina. Grazie anche a quanti hanno presentato, come singoli o come foranie, suggerimenti, proposte, correzioni, integrazioni.

Ora il Direttorio viene consegnato e affidato a noi sacerdoti, perché lo conosciamo e ne parliamo anche ai fedeli. Consultiamolo frequentemente, ci diventi familiare: è uno strumento di catechesi e di crescita della comunità. Le norme pratiche in esso contenute richiedono attenta e saggia mediazione, affinché siano capite nelle loro motivazioni, accolte con convinzione e attuate concordemente. Qui si impone una paziente opera di educazione del popolo, il quale, come insegna San Gregorio VII, “non est sequendus se docendus”.

Vorrei concludere con un augurio “musicale”. Ogni libro – finanche la Bibbia – è sempre uno strumento. Occorre conoscerlo e saperlo usare, altrimenti anche belle canne d’organo potrebbero rimanere mute e ingombranti.

Nella vita, anche nel campo della grazia, niente è automatico e dato per scontato, perché la vita è crescita e movimento. Poiché siamo in cammino, c’è sempre bisogno di ritrovare un equilibrio dinamico, facendo attenzione alle concrete situazioni storiche e soprattutto riattivando le energie divine che vengono fornite dalla costante e rassicurante presenza del Signore risorto, il quale, anche in mezzo alle difficoltà, ci dice: “Io sono con voi tutti i giorni, non abbiate paura”.

Senza il Signore non possiamo far nulla, ma senza la nostra sincera e concorde collaborazione non maturano frutti di bene. Teniamo presente un dato di fatto: bene o male, per fede o per tradizione, tantissimi cristiani vengono ancora da noi a chiedere i Sacramenti. A volte chiedono poco, forse un legame con la tradizione o una semplice benedizione rassicurante. A noi spetta il compito di svelare e dare loro quel di più veramente divino che forse ignorano e che è nascosto come un tesoro prezioso in ogni celebrazione.

Ricordiamo, inoltre, che forse per noi una celebrazione è una delle tante, per cui l’abitudine potrebbe renderci disattenti. Invece, per il fedele, per una famiglia una Confessione, un’esequie e o un Matrimonio sono eventi importanti, forse unici, che potrebbero lasciare il segno, avvicinare o allontanare, deludere o suscitare interesse e invito a ritornare.

Per serietà “professionale”, per fedeltà agli impegni agevoliamo il cammino della grazia nei cuori e nella vita dei nostri fedeli.

Il Signore vuol servirsi di noi per donare la sua grazia di salvezza. Gregorio VII scriveva: “Questo è lo stile di Dio: egli vuol salvare i peccatori, servendosi d noi peccatori”. Non siamo soli nel nostro ministero: Dio opera con noi e mediante noi. Siamone certi e fiduciosi.

Vorrei invitarvi a pregare:

Gesù, figlio di Dio e nostro fratello,

ti ringraziamo perché ogni giorno,

con la Parola e i Sacramenti,

ci chiami ad essere Chiesa,

tuo corpo e tua famiglia.

Donaci il tuo Spirito,

perché ci santifichi e ci renda, in te,

una sola cosa con il Padre e tra noi,

docili nell’accogliere i tuoi doni

e generosi nel comunicarli ai fratelli.

Siamo piccola cosa, ma, nella tua bontà,

vuoi servirti di noi, per farti conoscere e amare.

Noi ti offriamo le nostre mani e il nostro cuore,

la nostra mente e la nostra voce:

diventino strumenti di salvezza.

Fa’ che, in chiesa e fuori,

con le parole e con le opere,

con una vita di fedele servizio,

cantiamo la tua lode

e ti rendiamo gioiosa testimonianza.

 

Sac. Antonio Sorrentino

Direttore dell’Ufficio Liturgico

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