Superiamo la banalizzazione della sessualità umana
|Parla il presidente del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia: nel caso citato, l’uso del preservativo non aggiunge nulla alla malizia morale dell’atto ma può essere un minimo elemento di responsabilità.
Altro che preservativo sì o no: «È in gioco il senso della sessualità umana: questa mi sembra la preoccupazione prioritaria del Santo Padre» che monsignor Livio Melina – teologo morale e preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia – vede dispersa nel mare di chiacchiere proliferate attorno alle anticipazioni sul tema della lotta all’Aids tratte dal libro-intervista di Benedetto XVI Luce del mondo.
Monsignor Melina, allora c’è o non c’è una “novità” nella posizione della Chiesa sull’«Humanae vitae», con le parole del Papa sul preservativo e l’Aids?
Anche dagli stralci anticipati sulla stampa in questi giorni, si vede che Benedetto XVI vuole superare la banalizzazione della sessualità umana per aiutare a coglierne il senso vero. In questa linea, la dottrina di Paolo VI nella Humanae vitae è pienamente confermata. La norma morale che definisce la contraccezione come intrinsecamente cattiva è un “no” che vuole indicare in positivo le condizioni per cui l’atto coniugale esprime veramente un dono di sé integrale e aperto alla trasmissione della vita. Negli ultimi anni il magistero della Chiesa, e in particolare la teologia del corpo di Giovanni Paolo II e la teologia dell’amore di Benedetto XVI, hanno mostrato le ragioni umane, etiche e teologiche di questo insegnamento, che anche il nostro Istituto ha approfondito in maniera speciale in questi trent’anni».
Il Papa allude a un caso molto circoscritto, ma nella semplificazione mediatica sta passando l’idea che la Chiesa abbia cambiato idea. Cos’ha voluto dire invece Papa Benedetto?
Nella vita della Chiesa la casuistica ha sempre aiutato a capire meglio ciò che è in gioco nei drammi della vita. Anche da quanto dice nella risposta sulla questione dell’Aids il Papa non solo mostra una sollecitudine squisitamente pastorale per le persone, ma offre una luce per un cammino di conversione.
Intende dire che, dato un criterio generale, occorre vagliare ogni caso specifico?
L’oggetto morale di un atto – come dice la Veritatis splendor – va colto nella prospettiva del soggetto che agisce. E talvolta la considerazione delle circostanze concrete può mostrare che ci si trova di fronte a un caso diverso da quello previsto dalla norma. Nella situazione descritta nel passo dell’intervista il Papa non parla di atto coniugale ma piuttosto di prostituzione, che è già di per sé un comportamento umiliante e moralmente degradante. In esso l’uso del preservativo non aggiunge nulla alla malizia morale dell’atto ma può essere piuttosto un minimo elemento di responsabilità per non diffondere il contagio di una malattia pericolosa per la vita di altri, come l’Aids. È quindi un male – seppure di minore entità – all’interno di un comportamento disordinato, che certamente il Papa non incoraggia a compiere.
È nato anche un caso attorno alla traduzione: “prostituta” oppure, come risulta dall’originale tedesco, «ein prostituierter», un uomo che si prostituisce…
Ciò sembra alludere a un rapporto mercenario di tipo omosessuale, caso che riprodurrebbe per analogia quello precedentemente ipotizzato. Tuttavia, dal punto di vista generale, il contesto della casuistica non è quello della predicazione pubblica della Chiesa sul senso profondamente umano della sessualità. La casuistica ha sempre trovato il proprio luogo nei manuali di morale per i confessori, o nel dialogo tra confessore e penitente, perché ovviamente implica la considerazione molto dettagliata dei singoli casi. L’esibizione mediatica dei criteri al di fuori dei contesti naturali mi sembra soggetta a gravissimi equivoci.
Quello del Papa in un’intervista si può considerare un atto di magistero?
Penso che il Papa abbia voluto offrirci una luce nuova senza coinvolgere il suo ufficio magisteriale. La sfida che ci chiede questo suo atto di coraggio è pertanto inserirci nella sua stessa sollecitudine per la questione umana, che tocca il senso della sessualità.
La domanda dell’intervistatore colloca la risposta del Papa nel suo esatto contesto: la diffusione epidemica dell’Aids in Africa. Molto s’è discusso sull’opportunità o meno di utilizzare il preservativo. Cosa ne pensa?
Di fronte a situazioni di diffusione epidemica di malattie sessualmente trasmissibili il punto di vista morale non è l’unico: c’è infatti anche quello della profilassi sanitaria, affidata all’autorità politica. Ciascuno deve svolgere il suo ruolo nel proprio settore rispettando le differenti prospettive. Nel caso dell’Aids, ci troviamo di fronte alla diffusione di una malattia legata all’uso della libertà in un àmbito delicatissimo della vita personale come quello della sessualità. Pretendere di risolverlo con mezzi tecnici quando sono in gioco la libertà e i valori fondamentali vuol dire umiliare la persona, che va invece rispettata nei suoi valori ed educata. C’è un neocolonialismo delle multinazionali farmaceutiche che trova qui occasione per imporre ai popoli più poveri un’ideologia contraria alla famiglia e alla vita. La strada dell’educazione è non solo rispettosa ma anche più efficace dal punto di vista della promozione della sanità pubblica.
La strategia «Abc» (astinenza, fedeltà, condom) propone il preservativo come extrema ratio. Qual è il giudizio morale su questo tipo di iniziativa?
Non è compito della Chiesa di inserirsi nella logica del male, per quanto “minore” possa apparire, cercando di diminuire le conseguenze negative che quello stesso male provoca. Non è mai lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male perché ne venga il bene. Senza contare che l’eccesso di falsa sicurezza fondato sul preservativo provoca l’effetto contrario rispetto a quello che si vuole ottenere.
Cosa pensa il teologo morale di fronte al “caso” nato attorno a una frase?
Tante volte mi sembra che l’attuale dibattito in cui si tenta di coinvolgere la Chiesa, e in maniera particolare il Santo Padre, sia simile a quello nel quale scribi e farisei volevano trascinare Gesù: ponevano domande capziose per tendergli tranelli, senza voler ascoltare veramente il suo messaggio di salvezza. Per questo mi sembra sia necessario uscire dall’orizzonte ristretto di queste domande, per offrire l’orizzonte ampio e positivo di una proposta grande sul significato della sessualità, sul corpo, che è sacramento della persona, luogo della vocazione al dono di sé, alla comunione e alla trasmissione della vita. Come disse Benedetto XVI ai vescovi svizzeri citando sant’Ignazio di Antiochia, «il cristianesimo non questione di persuasione, ma di grandezza».
Francesco Ognibene da “Avvenire” on-line del 23.10.2010