La sfida educativa: impresa, un «laboratorio» in cui si deve crescere

In collaborazione con il quotidiano "Avvenire" vi sveliamo in 12 articoli tutti i nodi da conoscere capitolo per capitolo, del nuovo libro della CEI: "La sfida educativa".


lavoroLa sfida educativa si affronta a partire dal vissuto delle nuove generazioni, che è in rapida evoluzione ed è destinato a sfatare molti luoghi comuni ormai datati sui giovani e sulle loro scelte. Anche un mondo cruciale come l’impresa, messo a fuoco nel sesto capitolo del Rapporto-proposta, può diventare un laboratorio importante per capire come sta cambiando la situazione giovanile, in bilico tra precarietà e opportunità. Ci sono dei punti fermi, alcuni dei quali abbastanza sorprendenti, che meritano di essere considerati. Primo: le nostre imprese hanno generalesempre più bisogno dei giovani. Secondo: i giovani italiani entrano nel mercato del lavoro mediamente tre anni dopo i loro coetanei europei. Terzo: l’esperienza del lavoro rimotiva allo studio. «La nostra è una società inospitale per i giovani – spiega Claudio Gentili, direttore del settore education di Confindustria –. Per questo, occorre ripartire dalla scuola, dall’università e dalla ricerca, senza dimenticare che la didattica da sola non basta. Ci sono ricerche pedagogiche che dimostrano come giovani studenti pluribocciati, incapaci in classe di trovare le giuste motivazioni, possono cambiare idea sull’importanza della formazione proprio grazie alla loro esperienza professionale». Maturare competenze nel mercato del lavoro fa crescere, dunque, e ciò che a tutti gli effetti può essere considerato un fallimento, cioé la conclusione prematura degli studi, in realtà può diventare l’occasione per un salutare salto di qualità. «Sarebbe bene – sottolinea il rapporto – che, accanto alla classica e disoccupazioneinevitabile domanda "Ci sarà un posto di lavoro anche per me, ora che ho finito gli studi?", alcuni giovani avessero il coraggio di porsi un’altra domanda: "Quanti posti di lavoro sarò capace di creare, con la mia intraprendenza, la mia competenza, il mio senso del rischio?"». Come farsi carico di un cambiamento di prospettiva del genere, per di più in un contesto economico e sociale segnato dalla crisi? «Se si allarga lo sguardo sui tempi che stiamo vivendo – osserva Gentili – mi pare sia necessario cogliere l’occasione per rilanciare il forte bisogno di etica». Senza un approccio condiviso in nome delle regole, il mercato non può rispondere appieno alla sua funzione, l’impresa non riesce a essere a servizio della comunità e, viceversa, il territorio fatica a valorizzare i segnali di innovazione che arrivano dalle aziende.  Lo stesso vale per il dialogo tra le generazioni, in cui è chiesto agli adulti innanzitutto di rimettere in campo le proprie competenze e le proprie capacità. «È una sfida di tipo antropologico, che riguarda la società tutta – sintetizza Gentili – Al centro ci sono valori come l’identità, l’assunzione di responsabilità, l’innovazione e il contributo a uno sviluppo che sia finalmente sostenibile».

Diego Motta

 

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