Come prepararsi all’omelia: “Le interferenze”

Ottavo appuntamento con "IL MANUALE DEL PREDICATORE" (Tutto quello che un prete dovrebbe sapere per non annoiare i suoi fedeli) scritto da don Mario Masina, oggi vi proponiamo: "Le interferenze"


LE «INTERFERENZE»
Chiamiamole così. Sono le cose che succedono in chiesa mentre tu stai parlando e che possono bloccare o distogliere l’attenzione. E spesso farti perdere il filo.Partiamo dai bambini.
È certo che alcuni preti non hanno un buon feeling con i piccoli. È altrettanto vero che non si può ogni domenica trasformare la chiesa nel salone della scuola materna. Che fare? Serve una buona dose di pazienza e comprensione. Anzitutto la presenza di genitori e bambini insieme va incoraggiata. Continuiamo a dire che la parrocchia è una famiglia di famiglie, che la famiglia è al centro dell’attenzione pastorale. Ma quando qualcuno ci prova, scatta la repressione se i relativi pargoli non sono fermi e zitti come bambolotti. La loro presenza invece conferisce alla celebrazione un’aria meno fredda e ieratica. La fa diventare subito più familiare.
Talvolta possono distrarre l’attenzione dell’assemblea. In questo caso, però, se non passa del tutto il messaggio che vuoi dare tu, passa l’altro importante messaggio: che la chiesa è la casa di tutti in cui ci si prende cura di ciascuno. E non è poco.
Cosa fare, allora, nel momento in cui durante l’omelia qualche bimbo si fa fin troppo vivo e comincia a salire e scendere gli scalini dell’altare, senza che la mamma o la nonna intervenga minimamente? Far finta di niente? Abbassare gli occhi? Lanciare occhiate fulminanti a lui e agli adulti? Sbottare fuori in maniera molto scocciata con un bel: «per favore, qualcuno porti via questo bambino.»? Secondi interminabili di silenzio. Forse è meglio accettare la situazione, non perdere il controllo di sé, non lasciarsi prendere dal panico. Con un modo sereno e disteso si può interrompere un attimo e trovare la battuta giusta. Se ho predisposto la scaletta, non avrò problemi nel riprendere. E la gente non mancherà di apprezzare. Terminata la celebrazione, potrò
discretamente far presente ai genitori il luogo migliore dove collocarsi la prossima volta. Loro saranno più tranquilli. I fedeli pure.
Accendere la classica candela.
È un bel gesto di fede antico e popolare. Un buon introito per l’economia della parrocchia. Un bel danno per la tinteggiatura. A parte le questioni annesse e connesse, capita che qualcuno parta ad accendere la candela mentre stai predicando. Il rumore dei venti centesimi che cadono (uno, due, tre, quattro, cinque…) scandiscono proprio bene i passaggi dell’ultima riflessione che vai sviluppando. Ottimo accompagnamento. Se poi il portaceri e candele si trova davanti al presbiterio, il gioco è fatto. Che fare? Niente. Si tratta di educare la gente e forse di spostare il portaceri. Di trovare un’occasione per spiegare bene il senso e il valore dell’accendere una candela, il rapporto che deve esserci tra devozione personale e preghiera liturgica, quindi di consigliare i momenti più opportuni per non disturbare l’assemblea. E sperare che, quando parli di queste cose, l’anziana che di solito si alza sia presente in chiesa.
Andare a confessarsi.
Nonostante fior di documenti continuino a raccomandare di distinguere il momento della messa da quello della confessione, realisticamente l’impresa può dirsi fallita. Tranne qualche lodevole eccezione. Non entro nel merito della faccenda. Il problema sorge nel momento in cui, nel bel mezzo dell’omelia, la signora di mezza età si alza e, con rumore di tacchi degni del terzo Reich, attraversa l’intera navata. Gli occhi di tutti si girano e l’accompagnano a destinazione. Che fare? O forniamo la signora di un paio di tacchi meno rumorosi o spostiamo il confessionale in un luogo più opportuno. La prima soluzione sarebbe più economica, la seconda più liturgica. Non si può nemmeno dire alla gente di non muoversi durante la predica. Le altre parti della messa sono meno importanti? Al contrario. Gli imprevisti più diversi. Puoi stare sicuro che, durante l’omelia, capita sempre qualcosa. Cade a terra la chitarra del gruppetto del canto, l’organista vuol provare il pezzo dell’offertorio e non s’accorge che l’organo è acceso, strilla il cellulare del tipo in terza fila, l’amplificatore comincia a fischiare perché qualcuno ci mette le mani, salta la corrente e ti ritrovi con il vivavoce, qualcuno si sente male (…speriamo non per quello che dici). In quest’ultimo caso non si può sempre far finta di niente. Talvolta è opportuno fermarsi per non dare l’idea che «the show must go on», lo spettacolo deve continuare, incurante di tutto. È una liturgia, non un concerto. E le persone sono persone. Negli altri casi l’importante è non perdere il controllo della situazione, soprattutto quello di se stessi. Faremmo dei bei danni. Se proprio il guaio è grosso e non è possibile ignorarlo del tutto, una battuta distensiva contribuisce a sgonfiare la tensione e predispone a riprendere.

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