Come prepararsi all'omelia…
|Secondo appuntamento con "IL MANUALE DEL PREDICATORE" (Tutto quello che un prete dovrebbe sapere per non annoiare i suoi fedeli) scritto da don Mario Masina, oggi vi proponiamo come prepararsi all’omelia.
MI PREPARO
Inutile ribadire che un’omelia va preparata e preparata con cura. Non posso permettermi di buttare via un’occasione come questa, in cui molte persone sono lì, disposte ad ascoltare. Non posso frenare il cammino della Parola soltanto per la mia leggerezza o trascuratezza. Che annunciatore sarei?
E allora da dove comincio? Il minimo è che mi legga le letture. Con calma, possibilmente in clima di silenzio, preghiera e riflessione. Forse è il caso che me le legga un paio di volte, per evitare la tentazione tipica del predicatore navigato che, comunque, «sa già cosa dire».
Quindi mi prendo un buon commento biblico o un periodico di predicazione e cerco di approfondire almeno alcuni aspetti, con un’attenzione particolare al vangelo. Normalmente la gente ascolta il vangelo con più attenzione – anche per il fatto che spesso le altre letture non vengono proclamate in maniera comprensibile – e si aspetta che venga spiegato. È molto probabile che di questa fase di preparazione io decida di utilizzare solo alcuni elementi. Proprio come un iceberg: quello che emergerà al momento dell’omelia sarà un decimo di ciò che ho letto e meditato!
Questo non mi esonera dal diventare un appassionato studioso e discepolo della Parola che devo annunciare. Il nostro compito è di avvicinare alla Parola, di stimolare la vita cristiana. Non certo di portare la gente a esclamare: «Quante cose che sa questo prete!». E adesso viene il bello. La scelta del TEMA. È ben vero che il tema viene fornito dalle letture stesse, dalla festività che si celebra o dall’occasione che ricorre (matrimonio, battesimo, funerale…). Io comunque devo fare una scelta. Non posso inondare le persone di una serie di contenuti disparati, impossibili da digerire proprio per il loro numero eccessivo. Più sono i contenuti che voglio passare e meno verranno digeriti. Più sono i punti importanti, e meno saranno ritenuti importanti. Mi devo concentrare su UNO SOLO. Mi devo dire: «voglio che domenica la gente esca dalla chiesa con una idea. Questa».
Spesso si tratta di una sola frase, una sola parola presa dalla parabola, dal racconto di miracolo, dal discorso che Gesù sta facendo. È controproducente voler spiegare tutto. Per questo motivo dubito che possa essere una buona strategia quella di prendere qualcosa dalla prima lettura, qualcosa dalla seconda e qualcosa dal vangelo. Sono già tre cose. Troppe. Ne basta una!
Come la scelgo? Dipende. In base all’uditorio che mi trovo davanti (assemblea di anziani, famiglie…), alle circostanze della celebrazione, ai fatti che sono capitati. Insomma, avrai già capito che si tratta della scelta dell’obiettivo finale cui voglio arrivare. È finale, ma è iniziale: se non ce l’ho bene in mente io, i miei ascoltatori si perderanno sicuramente per strada.
a) Un primo tipo di omelia può essere quella interamente LETTA. Essa comunica immediatamente un’impressione di serietà, accurata preparazione, professionalità. Scrivendo, si evitano le ripetizioni, si precisano i concetti, si evidenziano le concatenazioni. Si sa come si comincia, si sa quando e come si finisce. Provandola in anticipo si può persino misurarne il tempo di durata, vantaggio non indifferente specie se capita di non accorgersi dell’orologio che corre (ma se ne accorge chi ti ascolta). Leggere una predica scritta è però pericoloso, specie se, quando tutti si siedono, ti ricordi di averla lasciata nel breviario in sacrestia. Ancor più pericoloso se tieni alti i fogli come un muro tra te e l’assemblea, e se non stacchi mai gli occhi dallo scritto. Diventa addirittura insopportabile qualora si traduca in una lettura piatta e monotona.
Si può invece ricorrere a una predica scritta in particolari occasioni: la notte di Natale, la veglia pasquale, un funerale particolarmente delicato o una celebrazione in cui è probabile lasciarsi prendere dall’emozione. In queste e altre situazioni tieni presente alcuni accorgimenti.
Provala un paio di volte per conto tuo, segnandoti dove fare le pause, sottolineando le frasi importanti da accentuare con il tono di voce. Non scriverla a mano, perché talvolta capita di non riuscire a decodificare quello che noi stessi abbiamo scritto… e faremmo proprio una magra figura. Piuttosto cerca di stamparla con un corpo di testo più grande del normale (corpo 16 o più) e un’interlinea doppia. Questo ti permette di leggere più agevolmente anche a distanza, lasciare i fogli sul leggio, consentendoti di guardare in faccia la gente e accompagnare la lettura con alcuni gesti. Se non guardi chi ti sta ad ascoltare non crei feeling; se
non fai qualche movimento i più distanti potrebbero confonderti con il vicino cero pasquale, ugualmente dritto e rigido.
Fare una predica interamente scritta non deve essere la regola, ma una risorsa cui ricorrere in casi particolari (a meno che tu non sia un vescovo…).
Il sacerdote che si è preparato per tempo sul vangelo, segue il percorso tracciato e a partire da lì sviluppa i pensieri. Ha il vantaggio dell’immediatezza e della improvvisazione.
Domanda però una certa capacità e scioltezza di linguaggio. È una modalità che alcuni seguono, ma che presenta non pochi inconvenienti. Il primo è che al momento dell’omelia capita di non ricordarsi completamente cosa si intendeva significare con quell’espressione. Il secondo è che si possono aprire parentesi e introdurre elementi dentro i quali non ci si raccapezza più, finendo nel non essere lineari, concisi e precisi. In assoluto il pericolo peggiore è quello di non sapere precisamente quando e come finire. Consiglio: usiamola il meno possibile.
Comunque, piuttosto di essere costretti a sorbirsi per l’ennesima volta le fisime – tutte personali – del proprio prete, la gente non mancherà di apprezzare tale modalità. Consiglio: usiamola con prudenza. E ricordiamoci soprattutto che l’omelia non è una lectio.
Sarà soprattutto di questo genere di omelia che tratteremo in seguito. Quindi per ora basta averla indicata.
Se vuoi cimentarti in un buon esercizio, domenica prossima prova a preparare e fare una predica letta, la domenica successiva una abbozzata, quindi una guidata, per finire con quella predisposta.
Dietro l’altare metti il registratore e chiedi alla tua sacrestana, o all’immancabile chitarrista animatore adolescenti, di premere record. E il gioco è fatto.
Poi con un po’ di calma ti riascolti e ti fai quattro risate. A parte grammatica e sintassi che avranno fatto rivoltare nella tomba la tua santa maestra delle elementari e a parte qualche strafalcione che tu stesso rimarrai stupito nell’ascoltare, impressionato dalla vivace fantasia cui possono fuoriuscire certe scemenze, l’esercizio ti sarà comunque utile. Se lo si fa con qualche amico prete o laico, sarà un ottimo training.
Se addirittura vuoi strafare, con una buona videocamera avresti la resa completa. Vedresti anche i gesti, il modo di proporsi del corpo, lo sguardo. L’unico inconveniente sarebbe quello di riuscire a spiegare alla gente che non sei né un megalomane narcisista, né un idiota. Certuni potrebbero non afferrarne la differenza.